Frenata di Salvini o una furbata da finanziaria? 

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Nella seconda metà del secolo scorso in un quadro internazionale di diffusi conflitti e di nuovi assetti anche per lo sfaldamento di imperi coloniali, si ebbero numerosi “governi in esilio”, di aspiranti governanti o di ex governanti spodestati e decisi a tornare in sella.
Che si caratterizzarono per il loro acceso tono declamatorio, un permanente processo agli avversari e la immancabile promessa di rifondare il mondo. Un atteggiamento che, con scenari diversi, assomiglia molto alla ossessione del governo M5S- Lega da “ sfida continua”. Una cosa però è un “governo in esilio”, altra un esecutivo, espressione di una repubblica parlamentare, votato per governare, realizzare, dar conto della propria operatività non soltanto della conflittualità. Fortemente provocatoria e con mire, tutt’altro che amiche, nei riguardi dell’Unione Europea, di cui siamo parte rilevante. Certe leggerezze potevano passare indenni in un modello di Stato ottocentesco, diciamo “sovrano”, chiuso nei confini nazionali e dalle economie autarchiche. Ma oggi solo pensarle in tempi di patti “sovranazionali” sottoscritti, ora condivisi e poi messi in discussione nell’arco di poche ore, e anche di “economie globali”, significa scherzare con il fuoco. Così si mina l’Unione, si perde credibilità nei mercati, che non sono “mercatini rionali” ma “interconnessioni” delicate che decidono i destini dei Paesi. A riguardo se sconcerta l’ambiguità del vicepremier Di Maio” lanciatore quotidiano di diktat e ultimatum quando ammonisce l’Europa che “noi non siamo ricattabili”, tralasciando di spiegare che la “ricattabilità”, in questo caso, non va vista come “volgare pressione” ma di invito a riflettere su una “vulnerabilità” da Paese con un enorme debito pubblico, costretto a rimodularlo in rapporto al “patto di stabilità”, impossibile da sforare, fa sperare invece la frenata moderata di Salvini sui conti. Forse ha capito che la realtà non consente più sparate, lo fanno capire gli investitori stranieri che hanno investito 500 miliardi in titoli di Stato, il 25% del totale, il resto è di banche e famiglie, e ora molto sfiduciati : nei mesi scorsi sono stati disinvestiti 70 miliardi dai titoli italiani. La “febbricola serale” dello spread non è un raffreddore ma un sintomo molto più grave. Il Colle, fino ad oggi, non ha mai fatto passare lisce le “lazzaronate”. Qualcuno ha avvisato Salvini a fare una retromarcia da “tanto tuono che spiovve”? Forse gli sarà giunto in ritardo il monito di Mattarella venuto a maggio come saggio preavviso per scenari emersi dal voto, troppo arditi per la nostra democrazia, che diceva : “Ogni governo ha il diritto , forse anche il dovere di innovare ma sta lì a tempo e il Paese non gli appartiene”. Giova ancora ricordare quanto scrisse il padre della Costituente Ruini che “il Capo dello Stato non è un maestro di cerimonia, di pura decorazione, ma al di sopra delle fuggevoli maggioranze, nella missione di equilibrio e di coordinamento”. Giusto però chiedersi: durerà la tregua di Salvini o è solo una furbata da finanziaria?

di Aldo De Francesco edito dal Quotidiano del Sud