La chiave del successo politico e mediatico del Movimento 5 Stelle sta tutta nella crisi che l’Italia attraversa da oltre vent’anni e dalla quale non riesce a venir fuori in modo stabile. In diverse occasioni, almeno dai referendum del 1991-93 sul sistema elettorale, gli italiani hanno mostrato una profonda insoddisfazione per l’assetto politico vigente, senza tuttavia riuscire a identificare un’alternativa credibile e duratura, anche perché –bisogna pur dirlo – sono stati ingannati da una classe dirigente che non si decideva a cambiare. Hanno inseguito il mito della preferenza unica e dell’uninominale, e si sono ritrovati con le liste bloccate e i candidati scelti dalle segreterie dei partiti; hanno riposto la loro fiducia in capi carismatici, da Bossi a Berlusconi, che non si sono rivelati capaci di rispondere alle attese; hanno creduto nelle autonomie locali, Comuni e Regioni, e le hanno progressivamente viste scopiazzare i peggiori esempi del potere centrale: governo, parlamento, partiti. La ripetuta delusione ha dato luogo al progressivo assenteismo elettorale, e ha prodotto fiammate di entusiasmo destinate a spegnersi dopo un successo più o meno lungo. Il declino di Silvio Berlusconi è sotto gli occhi di tutti; nella Lega, Salvini ha bene o male raccolto l’eredità del fondatore Umberto Bossi, ma la sta portando sul sentiero impervio dell’egoismo etnico. A sinistra, la migliore tradizione del comunismo erede di Berlinguer si è logorata in esperienze di governo litigiose e caduche, e lo stesso Matteo Renzi, che pure ha tentato di trasformare il Pd in una formazione di riformismo moderno, sta facendo i conti con una classe dirigente in parte anacronistica e con una crisi economica persistente. Il successo elettorale del Movimento 5 Stelle, che alle politiche del 2013 ha toccato il 25% dei consensi, è figlio di una lunga serie di entusiasmi e delusioni che hanno prodotto la condanna in blocco del passato ma non la costruzione di un futuro rassicurante. Ora il movimento si trova ad un bivio, perché l’improvvisa scomparsa di uno dei fondatori richiede un ripensamento delle strategie politiche ed una correzione degli assetti organizzativi tanto più difficili da compiere alla vigilia di appuntamenti che, a partire dall’imminente referendum sulle trivelle, richiederanno il massimo impegno di parlamentari e militanti. Il dualismo Grillo-Casaleggio interpretava due anime difficilmente conciliabili: l’una spontaneista e demagogica, l’altra ferreamente dirigista, come hanno sperimentato i numerosi deputati e senatori espulsi per indisciplina e tutti quelli che hanno dovuto subire intrusioni nella loro corrispondenza e adattarsi a direttive imposte dall’alto e indiscutibili. Venuto meno il cofondatore che teneva in pugno la macchina e indicava la strada da percorrere, tutto sarà più difficile. Dire, con Luigi Di Maio, che il figlio di Casaleggio “prenderà il posto del padre” e tutto continuerà come prima è troppo semplicistico: vuol dire, tra l’altro, ignorare che qualcosa era già cambiato rispetto all’iniziale spontaneismo, e il movimento si stava già trasformando in un partito, nel quale si era creata una gerarchia interna consacrata dalla nomina di un direttorio, e si manifestavano tensioni fra gli eletti e l’apparato. Ora, è possibile che l’emozione per la scomparsa di Casaleggio torni ad alimentare la fiammata di consenso del 2013; ma prima o poi i 5 Stelle dovranno fare i conti con la realtà, selezionare una rappresentanza interna, stabilire regole di comportamento condivise e riconoscibili. Dovranno soprattutto decidere come conciliare l’azione politica quotidiana con la centralità della “rete” mitizzata come unico incubatore di idee e di proposte, come un “grande fratello” che guida a distanza i cittadini- parlamentari. Il limite di questa presunta forma di democrazia diretta si era già manifestato con il progressivo abbandono del blog come piattaforma dell’elaborazione politica e legislativa, mentre anche nella designazione dei candidati alle amministrative le scelte dall’alto avevano sostituito l’indicazione dal basso. Ora tutto ciò andrà meglio regolamentato, e non si possono escludere tensioni e dissensi. Il Movimento è ad un bivio.
edito dal Quotidiano del Sud