Il governo in mezzo al guado

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Anche grazie ad una provvidenziale stasi dell’attività legislativa, il governo Gentiloni non aveva fino a ieri subìto contraccolpi dal trambusto politico provocato dalla scissione del Partito democratico. Anzi, i leader del neonato “Movimento democratico e progressista” si erano affrettati a confermare la propria fiducia nell’esecutivo, assicurando che non era assolutamente loro intenzione creare grattacapi al presidente del Consiglio. Ma ora, con l’irruzione sulla scena di una inchiesta giudiziaria accompagnata da gran clamore mediatico, secondo uno schema purtroppo noto alle cronache degli ultimi decenni, anche le tensioni nella maggioranza assumono ben altra gravità, e la stabilità del quadro politico torna in discussione. Non a caso già ieri, prima che i pubblici ministeri iniziassero ad interrogare Tiziano Renzi, Alfredo D’Attorre, che fu tra i primi a lasciare il Nazareno, interpellato sulla presentazione della mozione di sfiducia dei Cinque stelle contro il ministro Lotti, chiedeva urgenti chiarimento all’esponente governativo e allo stesso Matteo Renzi, accusato di aver “sostanzialmente tradito quella promessa di rinnovamento fatta al Paese”. Insomma, il “combinato disposto” scissione del Pd-scandalo Consip potrebbe innescare un incidente di percorso fatale per il governo e a questo punto anche per la legislatura. Del resto, anche senza l’aggravante di sopraggiunte insidie giudiziarie, i precedenti storici e la stessa logica politica dicono che prima o poi (e in genere abbastanza presto) un governo di coalizione viene investito dall’onda d’urto provocata dalla spaccatura di uno dei partiti della maggioranza, che produce una deriva ineluttabile che nasce proprio dalle modalità che hanno visto la preparazione e la realizzazione della secessione. Checché ne dicano i diretti interessati, i capi del Mdp non vedevano l’ora di distinguersi nei contenuti e nei programmi legislativi dal partito che hanno lasciato, altrimenti la loro iniziativa sarebbe passata alla storia solo come una ripicca personalistica, aspetto che sicuramente ha avuto il suo peso nella vicenda ma non può essere prevalente se non si vuole sminuire il significato politico dell’operazione. Ecco dunque che le innegabili difficoltà in cui si dibatte il Partito democratico, fra scandali, opacità nel tesseramento, dubbi sulle primarie e relativi contrasti sulle candidature, accentuano i toni polemici e la competizione fra i due tronconi del partito cardine del governo, il quale ultimo in definitiva non potrà più continuare a tenersi al riparo dalla tempesta. Del resto, la materia per un aumento del livello di tensione nella maggioranza non manca, a cominciare dalle questioni sociali: misure per la lotta alla povertà e referendum sui voucher. Il governo tenterà in ogni modo di scansare l’appuntamento con le urne modificando la legge attualmente in vigore, e troverà sulla sua strada l’opposizione della Cgil che ha raccolto le firme. Come si comporteranno i deputati e i senatori ex piddini ed ex vendoliani che hanno dato vita al nuovo partito? I parlamentari provenienti da Sel e da Sinistra italiana, fra l’altro, hanno sempre contestato i governi Renzi e Gentiloni; anzi i nuovi gruppi parlamentari hanno tardato a costituirsi proprio per scavalcare l’appuntamento col voto di fiducia sul decreto “mille – proroghe” che avrebbe messo tutti in imbarazzo. Ma ora che si fa? E domani, quando si comincerà finalmente a discutere di riforma della legge elettorale? Insomma, le preoccupazioni non mancano, per Gentiloni e per lo stesso Capo dello Stato, che già si prepara a svolgere quel ruolo di arbitro imparziale che gli compete quando il clima politico si fa rovente. Certo, chi non fa mistero di puntare ad elezioni anticipate, come i Cinque stelle e la Lega di Salvini, ha ben chiaro che l’occasione si avvicina; e lo stesso Silvio Berlusconi, fino a ieri contrario al ricorso anticipato alle urne, per il quale non è ancora pronto, comincia a dubitare. Insomma, governo in mezzo al guado e Gentiloni sempre più solo.
edito dal Quotidiano del Sud