Il paese della mafia tra farsa e tragedia

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Era difficile prevedere che questo  19 luglio di trent’anni dopo, che è martedì ed allora era domenica, avrebbe posto in amara  evidenza quant’è melmoso,  con effetti drammatici, se non tragici, l’andazzo delle “cose occorrenti” nel nostro paese. Esso esprime la sostanza profonda di una società  che, per lo più, quando può, detesta  lo Stato di diritto, il senso del  dovere, la civiltà democratica, avendo in uggia, per il suo “particulare”, la coerenza tra il pensare il dire e tra il dire il fare, di cui parlava De Sanctis come segno di quella che Croce chiamerà la “malattia morale”e a cui  imputerà l’origine del fascismo. Che, insieme alla mafia, è la creazione socio-politica  italiana, esportata tutto il mondo. Peraltro, dall’Unità in poi, non mai esistito un ceto politico come quello attuale così mediocre, incolto, cinico, ingordo, voltagabbana, a retribuito servizio della “Razza padrona” che, quanto a immoralità ed egoismo e smania di crescenti guadagni e ricchezze, non è  gli è da meno, anzi.

La sorte ha voluto che questo 19 luglio vedesse una singolare coincidenza tra quella vicenda di 30 anni fa e quel che accade nei palazzi della politica. Fu in questo giorno del calendario che, a 57 giorni dall’assassinio a Capaci di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, sua moglie, e di tre uomini della sua scorta, Paolo Borsellino, bussando al campanello dell’appartamento di sua madre a via D’Amelio, trovò una morte orrenda insieme a cinque uomini della sua scorta, fatto a pezzi da 500 chili di tritolo, usato prima contro Falcone. E, dopo qualche attimo, sparì la sua “Agenda rossa”, che conteneva verità terribili per l’Antistato criminale che ha tanto dominato la storia d’Italia dal dopoguerra in poi.. Quest’anniversario così  importante ha avuto un tono molto minore rispetto agli altri anni. Né poteva essere diversamente: a Palermo  c’è quel nuovo sindaco e quei consiglieri, i cui personaggi simbolo sono due: Totò Cuffaro, calunniatore di Falcone così che diventò  presidente della Regione Sicilia, dove svolse il mestiere di “picciotto” al servizio della mafia, tant’è che fini in galera, e Marcello Dell’Utri, altro mafioso, anche lui finito in galera, oltre che stretto sodale di Silvio Berlusconi, con cui fondò Forza Italia, che, si sa, ha al primo punto del suo programma la “Questione morale” di Berlinguer. Non sorprende che Fiammetta Borsellino abbia rifiutato di commemorare con tale gente suo padre – quell’eroico padre  che, quando morì, aveva sul conto in banca un milione di lire, poiché usava parte del suo stipendio per aiutare tanta gente povera. A sua volta,  come già la figlia di Borsellino, il Presidente della Repubblica Mattarella ha detto che, ancora ad oggi, a causa  di depistaggi, insabbiamenti e affini illegalità, non sono stati individuati i mandanti dell’assassinio. dei Dioscuri della lotta alla mafia e dei loro “angeli custodi”. Sappiamo solo che si trattò di “Delitti di Stato”,  come ha detto  il magistrato Roberto Scarpinato.

Questo martedì è anche la vigilia del voto di fiducia, del tutto incerto, al governo Draghi. Ebbene, a base dalla eventuale caduta di Draghi non c’è nessun motivo che faccia riferimento ai seri limiti del suo governo. Che vanno dalla scadente  lotta al Covid, alla crisi economica (inflazione all’8 %), alla povertà crescente, all’abbandono del Sud, ai giovani senza futuro e lavoro,  al grave disastro climatico. Si tratta di una mediocre lotta per il potere. Forse, come diceva Heidegger, “Solo un dio ci può salvare”.

di Luigi Anzalone