Il sindaco Foti ammette: “Ho sbagliato, dovevo dimettermi”

0
1862

La prima impressione non è buona. Arrivo in orario al Municipio dove mi riceverà il sindaco. Ma trovo la porta dell’anticamera sbarrata. Suono e nessuno mi apre. Così per arrivare nell’anticamera di Paolo Foti devo fare un lungo giro dentro i corridoi del palazzo. Finalmente ci sono. Dopo qualche minutodi attesa, di cuiil sindaco si scuserà,entro nella sua stanza per l’intervista. Trovo un uomo stanco, triste. Questa è la prima cosa che mi appunto mentalmente, mentre Foti mi prepara il caffè. “Le cialde – mi dice con una punta di orgoglio, mista a sfida – le pago io”. Come mai trovo chiuso- chiedo- quest’ufficio che è stato sempre aperto? “ Puro caso,- mi risponde- abbiamo un po’ stretto le maglie dopo le fin troppo vivaci proteste degli ultimi giorni, ma potrà capitarti di vedere entrare chiunque. Dal dirigente, al parcheggiatore ai cittadini”. Che idea si era fatto,entrando qui,dopo l’elezione a sindaco? “Ero entrato nel Palazzo con l’idea di rendere un servizio alla comunità. Mi sono ritrovato davanti a difficoltà enormi, con questioni irrisolte da decenni. Per necessità, nei mie primi quattro anni ho svolto un’attività quasi da direttore generale. Solo da pochissimo faccio quello che è la vera attività di un sindaco. Programmare l’attività amministrativa e controllare che gli uffici adempiano alle direttive”. Gli uffici appunto. Si dice che i dipendenti l’abbiano accolta male per le sue dichiarazioni sulla macchina amministrativa, sul suo intentodi fare pulizia. “ Mai detto niente del genere-dice Foti alzando di un’ottava la voce-chi dice questo la fa in maniera strumentale. Piuttosto ho dovuto fare i conti con le enormi difficoltà di personale. In organico sono previsti otto dirigenti e cene sono poco più della metà,tutti con incarichi ad interim. Il personale,poi dai circa seicento negli anni‘80, sono diventati circa la metà, con compiti crescenti affidati agli enti locali, ho dovuto farmi bastare quelli che ho. Certo non escludoche abbiaurtato la suscettibilità di qualcuno abituato da sempre a gestire, comodamente, il compito affidatogli. Ma non ho mai detto, e non penso, che qui siano tutti ladri”. ( continua sul Quotidiano del Sud cartaceo)