La città “per bene”, la città “per male”

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Di Franco Festa

C’ è un’ Avellino sensibile, colta, intelligente. Una città discreta, non rumorosa, ma attenta al mondo intorno, che partecipa agli incontri culturali, alle rassegne teatrali e cinematografiche, alle manifestazioni musicali di qualità, alle mostre. Una città non solo di adulti, ma anche di giovani, che frequentano le librerie e i musei, che si tengono costantemente aggiornati, che sfuggono allo schema della provincia chiusa e ignorante. Certo. C’è anche un’altra città, di mediocri figuranti che si ammucchiano non per Avellino o per l’Irpinia, ma per i propri miseri disegni, che inventano rassegne e incontri di nessuna qualità, che danno la parola a palloni gonfiati e a nullità. Questa c’è sempre stata e sempre ci sarà, perché la vanità, il calcolo e la presunzione sono mali inestirpabili, specie in un piccolo centro. Ma non vogliamo parlare di loro. C’è tanto di buono, oltre costoro, che definisce il quadro di una città moderna. C’ è però anche un’altra faccia della realtà. Se si ficca il naso in un convegno organizzato da una qualunque forza politica lo sconforto è immediato. I soliti addetti ai lavori (pochi o molti, a seconda del potente di turno) qualche curioso: questo è il quadro che ricorre tutte le volte. Perché va così? Proviamo ad analizzare con coraggio le motivazioni di questa separazione. E’ verissimo: oggi la politica ha perduto ogni capacità di aderire ai bisogni e alle domande dei cittadini. Quasi sempre è una macchina che si autoperpetua, che si alimenta voracemente delle occasioni piccole o grandi che il potere pone a disposizione, degli infiniti modi in cui si può arraffare pubblico denaro. Per tanti fare politica significa ormai aver risolto i propri problemi esistenziali, alla faccia delle questioni drammatiche che riguardano tutti gli altri cittadini. Il resto è retorica, chiacchiere, promesse al vento. E i pochi che provano ad opporsi a questo andazzo, a ridare alla politica la sua vocazione nobile, sono quasi sempre isolati, o sconfitti. Il punto è che finché la risposta di chi guarda la politica da lontano è solo il disprezzo o il rifiuto, non se ne uscirà mai, perché è proprio su quel disinteresse, su quel disprezzo, che la malapolitica continua a costruire la propria fortuna. Quale è l’amara conclusione? Che l’altro mondo, quello in apparenza sensibile, colto, intelligente, è complice di fatto dello sfascio in cui siamo immersi, corresponsabile del degrado della città. Se non si rompe in qualche punto questo circolo vizioso, se non si apre una nuova stagione di protagonismo civile, con una scelta di nuovi rappresentanti, autonomi e coraggiosi, che gettino a mare i rapaci avvoltoi che hanno ridotto la città in questo stato, ogni lamento antipolitico è inutile, patetico e ridicolo. Il risultato di Foggia, con l’incontro appassionato tra un campo largo di forze politiche, capaci di una autocritica profonda e di un rinnovamento reale, e la società civile più attenta e responsabile, un confronto che si è sintetizzato nella la scelta di una candidata sindaco indipendente, libera, non legata a padrini e potentati, è la prova che osare si può, uscire dall’ attuale stagno limaccioso è possibile.