La crisi energetica dopo la guerra in Ucraina. Intervista a Mariateresa Imparato (Presidente Legambiente)

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Di Matteo Galasso

L’imperversare della guerra nell’Europa orientale ha portato alla precarizzazione dei rapporti tra Russia e Occidente, generando di fatto una nuova polarizzazione degli equilibri mondiali. Il conflitto in atto potrebbe portare il vecchio continente a fronteggiare una crisi sociale ed economica di ingenti proporzioni. Uno dei principali nodi da sciogliere per il nostro Paese e per la gran parte del continente riguarda, sicuramente, l’approvvigionamento energetico: l’Italia, infatti, pur essendo l’ottava potenza industriale del pianeta è completamente dipendente da combustibili fossili importati, per la maggior parte, da Paesi instabili come la Russia. Una questione cui la nostra classe politica non ha mai prestato interesse senza mia prevedere con anticipo un nuovo raffreddamento delle relazioni internazionali per potersi attrezzare di conseguenza. Proprio acausa di questo atteggiamento, siamo costretti ad adottare soluzioni di emergenza, che in alcun modo sembrano limitare l’impatto economico che grava sulle spalle dei cittadini. Di questo abbiamo parlato con Maria Teresa Imparato, Presidente di Legambiente Campania.

 

Imparato, serviva davvero una guerra per farci comprendere l’urgenza, soprattutto nel nostro Paese, di una transizione energetica?

Purtroppo avevamo ragione a dire al governo italiano e alle istituzioni europee che continuare a investire sulle fonti energetiche fossili, oltre che aggravare l’attuale condizione climatica, avrebbe costituito una causa di dipendenza troppo vincolante da paesi la cui democrazia è a rischio o inesistente.

 

Quanto realmente le nostre dipendenze energetiche dalla Russia, tra le più alte in Europa, influiscono sulle nostre decisioni riguardo il conflitto?

Siamo dipendenti per circa il 40% dalle importazioni di gas Russo e stiamo pagando l’instabilità degli ultimi mesi con un aumento impressionante dei costi delle bollette del gas e dell’elettricità. La posizione scomoda in cui si trova l’Europa, caratterizzata da un costante bisogno di gas fossile, non ci permette di prendere decisioni in maniera indipendente ed esercitare quel ruolo di mediazione e dialogo che avremmo potuto e dovuto giocare, fornendo, a chi oggi minaccia la pace, importanti strumenti di ricatto.

 

Abbiamo, legittimamente, imposto sanzioni alla Federazione Russa, con la consapevolezza delle conseguenze che avrebbero avuto sulla nostra economia. Di fatto, però, ad oggi, sembriamo averne addirittura risentito maggiormente. Dove abbiamo sbagliato?

Abbiamo sbagliato a investire su fonti fossili, costituendo una dipendenza diretta, un vero e proprio monopolio energetico: oggi dobbiamo scegliere se invertire la rotta, accelerando la transizione ecologica, o ricadere negli stessi errori.

 

Gli effetti del caro-energia rischiano di costare al nostro Paese più di 100 miliardi di euro, in comparazione, corrispondenti a più della metà dei fondi ricevuti per l’attuazione del PNRR. Questo è il prezzo per non aver investito intelligentemente nello svincolarci dall’estero. Come tutelare gli interessi popolari di fronte a tanto dispendiosi aumenti?

Da anni Legambiente segue con apprensione la transizione energetica, soprattutto promuovendo la tutela delle disuguaglianze sociali: va ribadito con forza che la transizione energetica è una possibilità per i nostri territori e non una condanna. Negli ultimi mesi il caro bollette è una delle maggiori preoccupazioni degli italiani ed europei. Sono numerosi gli strumenti a disposizione per fare la differenza. Nell’ultimo mese una carovana di Legambiente ha attraversato l’Italia per promuovere l’iniziativa #UnPannelloInPiù – una campagna di raccolta fondi promossa con Enel X contro la povertà energetica e l’impatto sociale ed economico che può avere il pannello solare da appartamento.

 

I danni della guerra sull’’ambiente sono altrettanto drammatici. Con la guerra sembrano essere passati in secondo piano tutti gli ambiziosi obiettivi di neutralità carbonica entro il 2050: qualcuno ha addirittura proposto di ripristinare appieno le nostre centrali a carbone per qualche decennio. Che soluzioni propone Legambiente per far fronte agli obiettivi del Green Deal entro i termini previsti, nonostante i rallentamenti dovuti alla guerra?

Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia hanno avanzato 10 proposte al governo Draghi per affrontare in modo strutturale la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento del gas. Parliamo di interventi normativi e autorizzativi che permetterebbero di ridurre i consumi di gas di 36 miliardi di metri cubi l’anno entro fine 2026, sviluppando l’eolico offshore, il fotovoltaico sui tetti, anche nei centri storici, ed in aree compromesse (come discariche e cave), il moderno agro voltaico, che garantisce l’integrazione delle produzioni agricole con quella energetica, la produzione del biometano, sviluppata in un chiaro contesto di riduzione del numero complessivo di capi allevati e senza sottrazione di terreno alla produzione di cibo), gli accumuli, i pompaggi e l’ammodernamento delle reti.

 

Quali sono le vostre stime e previsioni sull’esito della guerra e sulle cause che, indirettamente, ricadranno sull’ambiente?

Legambiente, fin dal primo momento, si è  fortemente opposta al conflitto, proponendo alle istituzioni italiane ed europee piani di investimento sulle rinnovabili: energia ecologicamente ed eticamente pulita.

 

A detta di qualcuno, al contrario, questa nuova crisi sociale, economica ed energetica può essere un’opportunità per addirittura accelerare sulle rinnovabili. Lei cosa ne pensa?

Come sostenuto in precedenza, questo conflitto deve essere un monito per velocizzare la transizione ecologica, dicendo no al ricatto del gas e guardando ad un futuro rinnovabile.

 

Attualmente le fonti rinnovabili ricoprono solo il 19% del fabbisogno energetico del Paese: crede che implementare questa produzione sia statisticamente sufficiente per far fronte ad un domani senza fonti fossili o sia, di fatto, necessario avviare un processo di costruzione di centrali nucleari per raggiungere l’obiettivo del G7 di elettricità solo da rinnovabili entro il 2035?

Spesso si sente parlare di nucleare per far fronte alla crisi climatica e la dipendenza energetica del nostro Paese dalle fonti fossili. Al netto di altre questioni aperte lasciate dalla produzione di energia nucleare, anche se si decidesse, a livello globale, di investire in questa forma di produzione di energia come contributo alla lotta ai cambiamenti climatici, questa sarebbe una scelta contraddittoria con il codice rosso per l’umanità che si evince dall’ultimo rapporto dell’IPCC.  Il tempo a disposizione per accelerare sul taglio delle emissioni è poco, i nuovi obiettivi europei per il clima, cui l’Italia deve attenersi, prevedono un taglio del 55% delle emissioni di gas climalteranti entro il 2030, e la neutralità climatica entro il 2050.

 

A proposito di nucleare, a detta di Francesco La Camera, direttore dell’Agenzia internazionale per le rinnovabili, sarebbe un errore puntare su di esso, in quanto non ferma i cambiamenti climatici. Quale la posizione di Legambiente?

Parlare di nucleare come soluzione ai nostri problemi energetici e di dipendenza dall’estero per il nostro approvvigionamento energetico – che comunque il nucleare non risolverebbe – va solo a rallentare la transizione ecologica.  Ci sono altre tecnologie più economiche, più pulite e sicure su cui investire, come le energie rinnovabili, a cui non si danno abbastanza occasioni di crescita.