L’antipolitica al governo

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A Roma le prime grosse difficoltà della Giunta Raggi si sono manifestate subito dopo il rientro dalle brevi ferie estive. L’assessore al Bilancio Marcello Minenna, docente di economia alla Bocconi e dirigente della Consob, lascia l’incarico ai primi di settembre denunciando un “deficit di trasparenza” nelle procedure interne e non meglio precisate interferenze nel suo delicatissimo lavoro (Roma è afflitta da un deficit pauroso che certamente non è responsabilità della nuova Giunta, ma che richiede di essere affrontato con decisione e competenza). La neosindaca a Cinque stelle rimedia subito nominando un magistrato della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis, che però getta la spugna meno di 24 ore dopo pronunciando parole di fuoco contro un presunto “complotto” ordito ai suoi danni dalla squadra della sindaca. “La politica non fa per loro”, dichiara a “Repubblica”: “E’ un asilo infantile”, anzi peggio, “un’associazione a delinquere”, e aggiunge pesanti giudizi sulla moralità dei congiurati che l’hanno abbattuto. Passa qualche settimana, c’è la tonificante parentesi del raduno grillino di Palermo, dove il fondatore e garante del movimento riassume il suo ruolo di capo politico e galvanizza la sindaca; ed ecco che, tornata a Roma, Virginia Raggi tira fuori un altro coniglio dal cappello: ancora un magistrato della Corte dei Conti, Salvatore Tutino, subito presentato agli altri assessori e a un gruppo di fedelissimi consiglieri comunali. Ma anche Tutino è destinato a durare poco: non fa in tempo ad insediarsi ed è già impallinato da alcuni parlamentari che impersonano l’anima più intransigente, se non vogliamo dire giustizialista, del Movimento. Così anche Tutino lascia, definendosi “vittima di una lotta tra bande”, una faida interna ai cinque stelle. Sono passati in tutto meno di tre mesi dall’insediamento della nuova amministrazione che si era presentata all’insegna di “un nuovo percorso condiviso e democratico che mancava alla città”. La neosindaca aveva promesso riunioni di Giunta in diretta streaming che avrebbero fatto del Campidoglio la casa di tutti i cittadini romani, ma le convergenti dichiarazioni degli assessori dimissionari fanno pensare piuttosto ad una logica settaria e a manovre oscure delle quali, secondo alcuni, Virginia Raggi sarebbe la prima vittima. Sospetto confermato dalle reazioni alla nomina del quarto assessore al bilancio, Andrea Mazzillo avvenuta in extremis ieri e subito benedetta da Beppe Grillo in persona con una dichiarazione pubblicata sul blog, che però non basta a far sbollire il pentolone romano. A Mazzillo si rimprovera un passato di militante piddino e un presente di stretto collaboratore, ben remunerato, della sindaca, posizione dalla quale avrebbe contribuito al siluramento dei precedenti nominati. Insomma, ancora manovre, complotti, faide. Dalle quali dovrebbe essere escluso almeno l’altro assessore appena nominato, che dovrà occuparsi delle partecipate e che risponde direttamente alla Casaleggio, la società che gestisce il blog, il “non statuto” e l’intera struttura del Movimento. Nel frattempo, la decisione più rilevante assunta dalla Giunta e avallata dal Consiglio comunale è stata la rinuncia alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024, che ha tutta l’aria di essere stata imposta da Beppe Grillo ad una sindaca refrattaria nei colloqui palermitani, come prova di fedeltà al “programma”. Insomma ce n’è abbastanza per essere preoccupati per il futuro di Roma e per porsi intanto qualche domanda sulla prassi di governo dei Cinque stelle, che non è certamente uniforme nelle esperienze fin qui realizzate ma che, pur nella discontinuità, manifesta tratti comuni. Fra i quali spiccano l’inadeguatezza dei prodotti più genuini del grillismo – come Virginia Raggi a Roma e Filippo Nogarin a Livorno – bilanciata dai risultati positivi di un “eretico” come Federico Pizzarotti a Parma, e di una esponente dell’establishment cittadino come Chiara Appendino a Torino. L’insegnamento che si può trarre da queste esperienze contraddittorie è che quando l’antipolitica, di cui il Movimento Cinque stelle è in Italia la manifestazione più recente e fortunata, arriva al potere sull’onda della polemica contro classi dirigenti fallimentari o addirittura corrotte, o si trasforma allontanandosi dalla propria “cultura” originaria, populista e protestataria, e assume una fisionomia “borghese” di governo, oppure è destinata a cadere in una spirale di giustizialismo giacobino priva di prospettive e ricca solo di inconcludente retorica.
edito dal Quotidiano del Sud