L’ara figurata di Abellinum al Museo Irpino 

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L’antico centro irpino di Abellinum, ubicato sul pianoro della Civitas di Atripalda, presso le rive del fiume Sabato, nel corso dei secoli ha restituito notevole materiale archeologico che, in parte, in quest’ultimo cinquantennio, è confluito nel Museo Irpino, arricchendo così la documentazione di un’importante area archeologica, che in passato ha subito indiscriminate devastazioni (1) . Tutto il materiale di Abellinum, espostonel Museo Irpino:ceramica, sculture, epigrafi, lucerne, ha permesso fino ad ora di avere un quadro sommario dello sviluppo della vita della città, dalla fase avanzata dell’egemonia sannitica, III sec. a.C., alla dominazione romana, con la deduzione della colonia (graccana o sillana?) (2), al maggiore splendore della colonia stessa, sotto il principato della gens giulio-claudia, fino al periodo della decadenza, che potrebbe .fissarsi intorno al VII sec. d.C. 3. Indipendentemente da quanto predetto, però, con prudenza si può affermare che sul pianoro della Civitas, nelfondo Guanci,presso lacava di tufo, il rinvenimento sporadico di due frammenti di ceramica intagliata ad impasto scuro, del tipo detto buccheroide, attesterebbero una frequentazione di gente della cultura appenninica della média età del bronzo, ad economia prevalentemente pastorale, collegata al seminomadismo stagionale. I due frammenti in questione, di cui uno con ansa nastriforme ad anello, sono a parete bassa, orlo espanso, base concava;il primo (inv. 4181, fig 1), presenta una decorazione excisa a motivo a zig-zag su una faccia e, sull’altra, quattro sovrapposte bande a triangoli; il secondo, invece, (inv. 4182, fig. 2), presenta soltanto il motivo a zig-zag. Entrambi, per il tipo di decorazione, si avvicinano più alla produzione di ceramica della cerchia centrale appenninica di Malpasso e Spineta che a quella meridionale (4). Scarsa, invece, è nel museo la presenza di testimonianze monetali di Abellinum, che, nel tutto, è rappresentata da un’oncia anonima della serie trientale della zecca di Roma (217-215a.C.)5, daunpiccolo bronzo di Tiberio della zecca di Paestum (6) e da un follis di Costanzo II, della zecca di Costantinopoli (330-333 d.C.) (7). Dei numerosi reperti di Abellinum, esposti nel museo irpino, in questa sede viene presa in esame l’ara circolare con rilievo storico, proveniente dal fondo Guanci; monumento fin troppo noto che, però, presenta ancora delle lacune interpretative circa alcune figure (8).Il reperto è dimarmo pario, di tradizione repubblicana ed è formato da una base quadrangolare su cui poggia il corpo circolare, leggermente svasato, che reca sull’orlo ed alla base due cornici, i cui motivi sono molto affini a quelli delle are augustee in Roma. Tra le due cornici, intorno a tutto il corpo circolare, si articola il rilievo, abbastanza alto e di buona fattura, che evidenzia personaggi della famiglia giulio-claudia ed un magistrato della colonia di Abellinum, devoto alla famiglia imperiale regnante, cui dedica l’ara. La parte centrale della raffigurazione è nella zona anteriore del monumento rispetto alla base quadrata dove, secondo la ipotesi di Onorato, è rappresentato Tiberio che sacrifica ad Augusto e Germanicoeroicizzati (9). L’imperatore è qui ritratto tra due personaggi in abbigliamento sacerdotale, capite velato, con una pàtera ombelicata nella mano destra, accostata alla fiamma che sprigiona da un’ara parallelepipeda che gli è accanto, in atto di compiere il sacrificio (fig. 3). Alla destra di Tiberio, infatti, emerge su un plinto rettangolare la figura di Augusto, il grande ideatore di tutta la politica di Roma, il protagonista delle Res Gestae che egli lasciò come imperituro testamento ai popoli dell’impero; egli indossa una lunga tunica riccamente drappeggiata e presenta la mano sinistra, protesa di lato verso Tiberio, nella quale tiene un rotolo o volu – men. Alla sinistra di Tiberio, invece, è rappresentato, su un plinto più basso rispetto a quello di Augusto,Germanico, suo figlio adottivo, notoper le gloriose campagne militari in Germania; indossa un mantello militare, drappeggiato ai lati, che lascia scoperti il torace e la spalla destra e, con la mano destra accostata al fianco, regge un lungo pilo. Quasi affiancata ad Augusto è scolpita una figura muliebre con testa diademata, ammantata dalle spalle ai piedi, seguita di profilo da un fanciullo alato, che si rivolge verso di lei (fig. 4). La testa della donna diademata trova riscontro in una iconografia monetale del 22 d.C. 10. Pertanto credo che la donna debba identificarsi con la principessa Livia, assimilata a Venus, moglie dell’imperatore che egli amò e stimò fino alla morte tanto che, per volere testamentario dello stesso imperatore,divenneper adozione parte della gensJuliacon il nome di Julia Augusta; da Claudio, poi, fu proclamata diva, nel 41 d.C. 11 Il fanciullo alato, invece, è da considerarsi uno dei figli di Agrippina Maggiore e di Germanico; morto in tenera età, egli venne da Livia fatto raffigurare nelle sembianze di Eros, nel tempiodi VenereCapitolina; tale interpretazione, che è puntualmente suffragata dalle fonti, chiarisce ogni ipotesi di lettura circa il significato dell’Eros affiancato alla principessa Livia (12). «Habuit in matrimonio Agrippinam, M. Agrippae et Juliae filiam et ex ea novem liberos tulit: quorum duo infantes adhuc rapti, unus iam puerascens insigni festivitate, cuius effigiem habitu Cupidinis in aede CapitolinaeVeneris Livia dedicavit, Augustus in cubiculu suo positam, quotiesque introiret exosculabatur » (Germanico ebbe in moglie Agrippina, figlia di Marco Agrippa e di Giulia, che gli diede nove figli: dei quali, due gli furono rapiti ancora infanti,e un altro quando era già nella puerizia e pieno di grazia,del quale Liviadedicò l’immagine, nelle sembianze di Cupido, nel tempio di Venere Capitolina; e Augusto l’aveva messa nella propria camera e la baciava tutte le volte che vi faceva ritorno). Alla sinistra di Germanico è ritratto un trofeo antropomorfo, costituito da un tronco o manichino con chlamys, elmo, lancia e degli scudi oblunghi sovrapposti, mentre nel basso, ai suoi piedi, è raffigurato tra un coacervo di scudi, seduto sopra un elmo, accanto ad un masso, in atteggiamento prostrato, un uomo barbuto a torso nudo con gli avambracci legati dietro la schiena: un captivus, (fig. 5); la stessa scena del captivus prostrato, come quello sull’ara di Abellinum, ricorre sulla gemma augustea, dove però appare non ai piedi del trofeo – come il nostro -ma sotto il lungo tronco del trofeo che sta per essere sollevato da un gruppo di quattro persone: due in abiti militari e due a torso nudo, vestite di sole brache (13). Questo emblema di Vittoria, che nel caso particolare, sull’ara di Abellinum, simboleggia i successi militari di Germanico, è sostenuto non da una NIKE, come generalmente si riscontra nelle figurazioni degli archi trionfali ed onorari,mada una donna con palma. Il personaggio femminile, elegantemente modellato nelle fattezze e negli indumenti, deve riferirsi ad Agrippina Maggiore, assimilata alla Vittoria àptera, come Livia è assimilata a Venere, che partecipa al trionfo di Germanico con il quale prese parte alle campagne militari in Germania dal 14 al 16 d.C. 14, impedendo con la sua autorità e la dolcezza muliebre, in un momento di panico, il crollo delle legioni romane e, quindi, la distruzione del ponte sul Reno. Contrapposta alla scena principale, sul lato posteriore dell’ara, si rileva una figura femminile, avvolta in un ricco velo di cui, con la destra protesa di lato, regge un lembo discosto dal corpo (fig. 6). Certamente, si tratta di una principessa giulio-claudia che la Falletti Maj identifica con riserva con Antonia Minore, vedova di Druso il Vecchio, madre di Germanicoe di Claudio, nota per la sua bellezza e la sua virtù; ebbe onori e riconoscenza, sia da Tiberio che da Caligola e, nel 29 d.C., alla morte di Livia, venne nominataFlaminica Augustalis; in alcuni ritratti colossali che rappresentano la principessa come Antonia Augusta, essa è raffigurata con le rosse vittae di quel sacerdozio (15). Alla destra della principessa, abbastanza distante e senza nessun collegamento con tutti gli altri personaggi presentati, è ritratta la figura di un togato, con scrinium ac – costato al piede sinistro. Probabilmente questo personaggio,che ha il viso completamente abraso,deve essere identificato con un magistro o sacerdote di Abellinum (un Augustalis) che, sua pecunia, dedica l’ara alla famiglia imperiale regnante. L’ara è frutto di arte provinciale, permeata di gusto neoattico, come si evince dalle figure ritratte di prospetto ed allungate. Tale gusto, che è accentuatamente velato di tendenze sannitiche: figure appiattite, panneggio con pieghe lineari e schiacciate, pupille degli occhi indicate con il forellino, è stato acquisito dall’artigianato locale, attraverso i contatti con l’arte del centro del potere, espresso in rilievi su are e puteali e che ha dominato a Roma per tutta la prima metà del I sec. d.C. 16. Un esempio appunto di questa corrente neoattica, resa nelle figure, ci viene dall’Ara Pacis, dall’Ara Pietatis di Villa Medici in Roma, dal Puteale, con menadi danzanti, nel Museo nazionale romano e dall’Ara dei Vicomagistri, nei Musei Vaticani 17. Originariamente il monumento di Abellinum, per il rilievo storico che lo caratterizzava, doveva avere un posto preminente in un tempio o edificio pubblico per testare il culto della colonia verso la famiglia imperiale ed Augusto, di cui portava il nome. Successivamente, decaduto il dominio ed il prestigio della dinastia giulio-claudia, l’ara venne riadoperata come vera di pozzo, o per altri usi, come documentano due fori praticati rispettivamente sulla cornice inferiore e al centro della base.

NOTE

1) Notevole è statanegli ultimi anni la distruzione di una monumentale tomba a camera, in travertino – uno dei più belli ed interessantimonumentifuneraridelI sec.d.C.inIrpinia- di cui ci informa il Sogliano (« Notizie degli scavi di Antichità », 1881, pp. 288-300). 2) Cfr. E. DE RUGGIERO, Dizionario Epigrafico di Antichità Romane, s.v. Abellinum, Roma 1961. 3) Cfr. Reperti archeologici, fittili, epigrafici, scultorei nel Museo Irpino; inoltre è conservata anche un’iscrizione inedita, a carattere pubblico, incisa su un blocco di tufo parallelepipedo, in gran parte mutila, ascrivibile verso la fine del II sec. a.C., recuperata fra il materiale di riporto; essa rappresenta il più antico monumento epigrafico di Abellinum, fino ad ora venuto alla luce e si riferisce ad una via urbana o extraurbana, resa praticabile o costruita nuova: [ ] EISDEM [ ] / [ ] VE [ ] / VIAM MVNI [TAM] / [ ] TATV [ ]. 4. Cfr. M.S. PUGLISI, La Civiltà Appenninica, Origine delle comunità pastorali, fig. 23, nn. 3, 17, Firenze 1959. 5. Cfr. M.H. CRAWFORD, Roman Republican Coinage, I, 38/6, Cambridge 1974. 6. Cfr. Silloge Nummorum Graecorum, Danish, III, 1384, Copenaghen 1942. 7. C.H.V. SUTHERLAND, R.A.G. CARSON, Roman Imperial Coinage, VII, p. 579, n. 61, London 1966. 8. Il monumento è riportato da O. ONORATO, La ricerca archeologica irpina, p. 25, tav. 6, Napoli 1960; da C. GRELLA,Il Museo Irpino, pp. 21- 23,fig. 7,Napoli1974,che inquesta sede apporta un nuovo contributo alla spiegazione del monumento, con l’ausilio delle fonti finora da nessuno prese in considerazione; da G. COLUCCIPESCATORI, Il Museo Irpino, pp. 39-41, tav. XVIII, figg. 35- 37, Cava dei Tirreni 1975, da B.M. FELLETTI MAJ,La tradizione italica nell’arte romana, pp. 351-353, tav. LXXV, fig. 181 ad, Roma 1977. 9. Cfr. O. ONORATO, op. cit., ibidem. 10. Cfr. MATTINGLY-SYDENHAM, Rornan Imperial Coinage, 4, Pl. I, io6, London 1972. 11. Cfr. Enciclopedia dell’arte antica classica ed orientale, s.v. Livia, Roma 1961. 12. SVETONIO, Le Vite di dodici Cesari – Caligola, 289, ss., Zanichelli, Bologna 1956. 13. Cfr. Enciclopedia cit., s.v. Cammeo, p. 291, fig. 431, Roma 1961. 14. Cfr. Dizionario di Antichità Classiche di Oxford, s.v. Agrippina Maggiore, p. 46, Roma 1963. 15. Cfr. Enciclopedia cit., s.v. Antonia Minore, p. 441 (B.M. Felletti Maj), Roma 1961. 16. Cfr, B.M. FELLETTI MAJ op. cit., p. 353. 17.. Cfr. le figg. in Enciclopedia cit., s.v. Ara e Puteale,

 

Di Consalvo Grella pubblicato il 07/10/2013 sul Quotidiano del Sud