Le promesse di Renzi e il paese reale

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L’Iva non si tocca e non si toccherà” ordina Renzi in attesa di rientrare nella stanza dei bottoni, che considera momentaneamente occupata da Gentiloni. Il buon Padoan si arrabatta come può cercando di salvare posto e dignità invitando ad un confronto sul come reperire, oltre ai molti altri necessari anche i più di 15 miliardi di aumento dell’Iva previsto nel DEF 2017, lasciati in eredità da Letta e dallo stesso Renzi, che vuol tenere nascosta agli italiani la vera situazione economica finanziaria di grave deficit di bilancio. Almeno fino alla conclusione delle primarie e alle prossime elezioni politiche, da tenere, possibilmente, alla fine dell’estate. Sembra di assistere ad una sceneggiata napoletana nella quale duellano il buono e “’o malamente” con i soliti ingredienti della cultura popolare e con la vittoria finale del buono che, poi, sarebbe Renzi. Il grave è che continua a tacere agli italiani la verità con i soliti cortigiani che gli tengono bottone. La verità è che il DEF (documento di economia e finanza) approvato dal Governo Renzi contiene già –per le clausole di salvaguardia- l’aumento dell’Iva per circa 15,1 miliardo per il 2017 e 19,6 miliardi per il 2018, fatti slittare proprio da Renzi nei due anni successivi. Se si vuole sterilizzare l’aumento dell’Iva, occorre trovare nuove entrate per coprire quelle mancate nelle previsioni dei documenti precedenti ed anche quelli della recente manovrina di correzione che, quasi certamente, mancheranno all’appello. Non considerando che, come sta avvenendo da alcuni anni, la realtà fa giustizia degli indici di crescita previsti dal Governo e che gli istituti internazionali di rating continuano a denunciare ed i nostri disinvolti governanti ad ignorare. Da anni si continua a ripetere, con sempre maggiore forza comunicativa e minori argomentazioni, che non si devono aumentare le tasse, anzi che bisogna, invece, diminuirle. E questo sarebbe un obbiettivo lodevolissimo se solo si perseguisse una seria politica economica e fiscale che andasse nella direzione giusta. Invece tutti coloro che vanno al Governo – a cominciare da Berlusconi che diceva di non mettere le mani nelle tasche degli italiani –ripetono ossessivamente lo stesso mantra, pensando che i cittadini bevano tutto quello che gli viene propinato, senza accorgersi che la loro credibilità è arrivata al di sotto dello zero. Alcune cose vanno dette subito: le imposte e le tasse rispondono a due obbiettivi diversi. Le prime sono un tributo sul reddito e sulla ricchezza dei cittadini e sono destinate a finanziare i bisogni pubblici come la Difesa, la Salute, l’Istruzione, il funzionamento dello Stato e della Pubblica Amministrazione. Le seconde sono legate ad una prestazione, ai servizi che vengono erogati al cittadino. La gente non fa differenza fra le une e le altre attingendo alla medesima cassa familiare. Le tasse sono un dovere, oltre che etico, imposto per legge e sancito dall’art. 53 della Costituzione che recita:” Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Quanto più si possiede tanto più si alza l’aliquota. Al principio di progressività e alla stesura di questo articolo lavorò il nostro compianto concittadino di Calitri, Salvatore Scoca. In Italia l’evasione contributiva, risentendo di una formazione culturale diffusa e di una percezione di alta probabilità di farla franca, è altissima. Evadono, però, molto più i ricchi e le grandi imprese, pubbliche e private, che i piccoli imprenditori, lavoratori autonomi, impiegati e pensionati. Secondo se pagassero tutti si pagherebbe di meno. Terzo se i servizi funzionassero meglio il cittadino avrebbe meno occasioni per sfuggire. Sembra passato un secolo da quando, era il 2007, il compianto ministro Padoa Schioppa diceva: “La polemica anti tasse è irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, l’istruzione e l’ambiente.” Parole desuete anche allora, che richiamavano alla memoria più statisti alla De Gasperi che a Berlusconi o ai giovani politici di oggi. Per questo fu crocefisso. Due considerazioni finali. La prima è che non è vero che l’Italia è il paese dove le tasse sono più alte: viene al settimo posto in Europa dopo Belgio, Germania, Austria, Francia. La seconda che si pagherebbero meno tasse se le pagassero tutti e se i servizi fossero più efficienti. Nei paesi scandinavi le tasse sono più basse della media europea e i servizi ai cittadini e lo stato sociale sono efficienti. Come si spiega? Una migliore organizzazione della macchina statale e soprattutto pochissima corruzione ed evasione. In Italia, invece, si pagano molte tasse e, purtroppo, in cambio di servizi scadenti. La politica, rispetto ad una generica volontà di diminuirle non fa nulla perché possa realmente accadere. Anzi le spese dei cittadini, tra bollette, parcheggi, bolli, accise e quant’altro continuano ad aumentare. E questo la maggior parte dei media, tutti i partiti e i politici continuano a far finta di non comprendere.
edito dal Quotidiano del Sud