Le radici dell’Unione Europea

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L’interessante neologismo “nazional-cattolicesimo” forgiato da Andrea Riccardi nel suo articolo dello scorso 11 dicembre sul Corriere della Sera, ha riluttato non pochi approfondimenti sulla pregnanza politica del neologismo stesso. Approfondimenti tanto più attuali quanto più urgenti si rivelano i provvedimenti europei a sostegno di uno sviluppo necessario dopo la crisi economica e sociale determinata dalla pandemia ancora in atto.

Una prima riflessione va fatta in direzione del rapporto tra sovranismo e dottrina sociale della Chiesa. A tal riguardo va recuperata la risposta che Papa Francesco, il 19 agosto 2019, dette sulla complessa tematica, in un’intervista alla stampa ed, in particolare, sui pericoli del sovranismo. “Il sovranismo è chiusura! Un paese deve essere sovrano ma non chiuso. La sovranità va difesa, ma vanno protetti i rapporti con gli altri paesi, con la Comunità Europea. Il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre: porta alla guerre”.

Per una consapevole interpretazione dele parole del Papa, altresì, va recuperata un’altra sua affermazione: “Viviamo in un’epoca soggetta alla globalizzazione del paradigma tecnocratico che mira consapevolmente ad un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni di una superficiale ricerca di unità.” Si tratta, quindi, nel pensiero del Papa di una ideologia non dialista che spesso sfocia nel neocolonialismo che promette ogni sforzo per la pace e lo sviluppo del bene comune.

Verrebbe da pensare, allora, che il nazionalismo europeo nasce dal tentativo di difendere la sovranità dei popoli e delle nazioni dalle minacce della globalizzazione liberista – tecnocratica. Ma l’esplicitazione di Francesco che “l’identità non si negozia, si integra” delinea un aspetto già chiarito dallo stesso Pontefice, nel novembre 2014, nel suo discorso al Parlamento Europeo: “si pone a voi, signore e signori eurodeputati, anche l’esigenza di farvi carico di mantenere viva la democrazia, la democrazia dei popoli dell’Europa. Mantenere viva la lealtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa di fronte ad interessi multinazionali non universali che le indeboliscono e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario a servizio di imperi sconosciuti. Questa è la sfida che la storia oggi ripone.” Eravamo nel 2014 e senza la pandemia.

Non possiamo, attualmente, non sottolineare la lungimiranza profetica di Papa Francesco e, al di là delle tante parole vuote di senso e di futuro all’interno del deludente dibattito di questo drammatico momento, compiere uno sforzo corale per ricordare ai governanti europei che probabilmente si trovano davanti all’ultima possibilità storica di riscoprire le loro fondamenta dell’Unione Europea. Unione Europea che deve essere incentrata sul primato della politica e non su quello dell’economia, sul primato della democrazia e non su quello delle elites tecnocratiche, delle oligarchie finanziarie dei mercati; sul primato della persona e delle comunità e non di pochi individui; sul primato dei popoli visti come comunità di destino e non come masse di consumatori; sul primato del lavoro e non del profitto; sul primato del sociale e non del pareggio del bilancio.

Il mondo nuovo, sulle ceneri di quello vecchio sconfitto dalla pandemia, dovrà ricercare una nuova scintilla per accendere la speranza di un futuro più umano, giusto e responsabile.

di Gerardo Salvatore