Mettersi in gioco per il paese

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Una situazione inedita che rischia di protrarsi ancora.  Tre forze politiche che a due mesi dal voto non riescono a trovare un’intesa e le elezioni anticipate che potrebbero avvicinarsi. Il capo dello Stato contrario ad un ritorno alle urne in tempi brevi, fino a questo momento ha già sperimentato due mandati esplorativi e il governo dimissionario è tutt’ora in carica. I vincitori del 4 marzo Cinque Stelle e Lega sono vincitori solo a parole, nei fatti sono finiti nella palude del sistema proporzionale. Nessuno dei due ha i numeri e l’autosufficienza per formare un governo e  l’accordo  che passa per i perdenti Berlusconi e Renzi  è quasi impossibile da realizzare. L’ex segretario del PD è ritornato prepotentemente sulla scena. Ha atteso che i voti del suo partito tornassero indispensabili, ha dimostrato di controllare buona parte del PD e ha imposto così la sua presenza al reggente Martina. La prima mossa è stata quella di escludere un’ intesa di governo con i cinque stelle. Renzi ha di fatto reso meno importante la direzione del partito convocata per oggi smontando uno dei possibili passaggi chiave per aprire questa legislatura che così è destinata a finire presto.  La storia della Repubblica è piena di crisi lunghe e articolate soprattutto ad inizio legislatura. Quella che ancora detiene il record è del ’92 e portò all’incarico a Giuliano Amato. Allora passarono 82 giorni prima che si formasse il governo. Si era in piena Tangentopoli. Le Camere dovettero eleggere prima il nuovo Presidente della Repubblica, Scalfaro al posto di Cossiga. Solo dopo nacque l’esecutivo guidato da un socialista indicato da Craxi già nel mirino dei giudici di Mani Pulite. Si era in una fase di passaggio simile anche se in un panorama completamente diverso da quella del 1979. La crisi che occupa il secondo posto tra quelle più lunghe si concluse con l’esecutivo guidato da Cossiga, il paese rimase senza governo per 62 giorni. Era la legislatura successiva alla strage di Via Fani e all’omicidio di Aldo Moro. Si chiudeva la fase della solidarietà nazionale con il rapporto tra DC e PCI e si apriva il capitolo dei governi di coalizione tra la DC, i socialisti e gli alleati laici che durerà fino alla seconda Repubblica. Cinque anni fa ci vollero 61 giorni per avviare la legislatura. I seggi si chiusero il 25 febbraio e il governo di Enrico Letta nacque ufficialmente il 27 aprile. Un accordo tra PD e PDL dopo il fallimento della trattativa tra Bersani e Cinque Stelle. Dunque questa crisi è figlia di un mancato equilibrio che nella seconda Repubblica si è rotto con la fine del bipolarismo e l’arrivo in Parlamento dei grillini. Un sistema a tre poli che fanno fatica a parlarsi. E l’ultimo arrivato, da movimento del “vaffa” è diventato rapidamente un soggetto politico pronto per il governo ma ancora allergico a formare coalizioni.  Come ha scritto Massimo Franco “l’assillo di Di Maio di chiudere un accordo, chiamato pudicamente contratto, o con la Lega o col PD, dimostra la fretta di capitalizzare il successo alle politiche e di evitare che nel Movimento si riaffacci la componente ostile alle contaminazioni di governo”. Insomma la vera posta in gioco per i Cinque Stelle è adesso quella di mettersi in gioco, di spendere i “talenti” ricevuti dagli elettori ed evitare che il governo del cambiamento sia troppo simile a quelli duramente attaccati in passato accantonando i personalismi e mettendo in primo piano i contenuti. Si affaccia una fase nuova.  Salvini e Di Maio dovrebbero comprendere che si “cresce” politicamente anche facendo un passo indietro oggi per farne di più importanti in futuro.

di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud