Michela Mancusi: “Andate a vedere Parasite”

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Raramente capita di gioire così dopo la lunga notte degli Oscar. Questa volta è successo, grazie al trionfo di “Parasite” di Bong, Joon-ho, già Palma d’oro a Cannes, ad Avellino in questi giorni in programmazione al Cinema Movieplex (Mercogliano) e prossimamente al Partenio nella rassegna “Visioni” promossa dal Centro donna. Lo ZiaLidiaSocialClub non poteva farselo sfuggire, l’ha promosso in concomitanza con l’uscita nelle sale italiane, presso il Cinema Carmen di Mirabella, ma soprattutto, l’ha amato moltissimo, ritenendo che le quattro statuette siano più che meritate. Consegnate dalla grandissima Jane Fonda, i premi sono andati a tutto il cast del film che ha incassato quattro importanti riconoscimenti: miglior sceneggiatura (e qui non aveva rivali), miglior film internazionale (l’ho avevamo previsto e commentato ieri nell’appuntamento domenicale dello ZiaLidiaSocialClub), miglior regia, (tanti ottimi competitor) e miglior film, la grande sorpresa finale, perché è la prima volta nella storia dell’Academy che un film straniero, sudcoreano (non occidentale) si aggiudichi la prestigiosa statuetta. “Parasite” ha trionfato in un anno particolarmente ricco di film bellissimi e di grande successo soprattutto grazie alla sua carica ironica e innovativa. Soprattutto grazie ad una sceneggiatura ineccepibile, di cui il cinema attualmente soffre la mancanza. “Parasite” è una feroce satira contemporanea capace di parlare a tutti, di far sentire contemporaneamente la cifra di un stile tipicamente coreano ma anche sorprendentemente familiare. E sorprendente è il modo i cui Bong mischia generi e registri narrativi consegnandoci “una commedia senza pagliacci e una tragedia senza cattivi” architettata (avrebbe meritato la quinta statuetta per la miglior scenografia!) nella spazio simmetrico di due case (uno scantinato e una villa) e due finestre (una su un vicolo, l’altra su un giardino) dove due famiglie (ne’ buone, ne’ cattive) mettono in scena il disperato bisogno l’una dell’altra e due livelli sociali di disperazione. La disperazione dei parassiti è il riflesso storico politico della crisi del “sociale” (e del trionfo del “social”) nella contemporaneità e lo specchio di una società sudcoreana divisa disuguaglianze feroci. Si può convivere senza condividere desideri, aspirazioni e affetti? E senza avere un piano? Si può convivere, restando profondamente divisi? Si può riuscire anche solo immaginare un possibile riscatto? Con uno sforzo intuitivo in più Bong riesce a catture pubblico, consensi e Academy senza servirsi della retorica del dramma esistenziale, della lotta di classe o di soluzioni ideologiche, interrogando un contemporaneo fatto di quartieri degradati e case spaziali, di lotta alla sopravvivenza e ossessione al possesso dove il denaro sembra essere l’unica soluzione possibile perchè “i soldi sono un ferro da stiro: qualunque piega la stirano”. Ma non è questo il finale, è solo un’ulteriore provocazione perché Bong guarda altrove dove quello che non può essere spiegato può solo essere sentito, come può sentirsi un abbraccio o un odore forte. Che continua a sentirsi ancora! Grazie “Parasite”, il Cinema ne sentiva il bisogno!

Michela Mancusi