“Non smetto di avere freddo”, Cirillo racconta il potere dei legami

0
853

 

Si interroga sulla forza delle relazioni Emilia Cirillo nel suo bel romanzo “Non smetto di aver essere freddo" edito da L’iguana. Ne sottolinea la centralità nelle nostre vite, poiché sono i legami con chi amiamo, odiamo, proteggiamo, desideriamo a riempire le nostre esistenze, o ancora a sconvolgerle, violentarle o svuotarle di qualsiasi significato. Legami come quello tra Dorina ed Angela, maturato nella solitudine di un convento dove sono state abbandonate da bambine dalle loro madri, dove sono state l’uno lo scudo dell’altra, dove hanno condiviso sogni e paure. Sono diverse in tutto Dorina ed Angela, bella come una fata, insieme mite e rassegnata Dorinà, un viso come tanti, occhialuta, aggressiva come poche Angela, incapace di socializzare con le compagne e con chiunque incroci il suo sguardo. Un’aggressività di cui la stessa Dorina finisce per essere vittima, perché anche lei, l’unica persona di cui Angela ha scelto di fidarsi, l’ha tradita in uno dei suoi tentativi di fuga dal convento e poi per una forma di gelosia possessiva nei confronti di tutto ciò che considera suo. Quella gelosia non riuscirà mai a controllarla tanto da finire in galera. E’ lì che si ritrovano le due donne, nel carcere dove Dorina prepara i pranzi alle detenute con la stessa cura di una madre, convinta che quelle pietanze possano essere di conforto a chi vive dietro le sbarre, attenuando il freddo senza fine che pervade le celle e il cuore, che pervade i luoghi descritti nel romanzo, l’Irpinia, terra natale dell’autrice, sempre più desolata e degradata. Un freddo non così distante da quello che avverte anche lei nella sua vita. Al lettore appare presto chiaro che le due protagoniste sono complementari, poiché se a Dorina, incapace di staccarsi dal fantasma della madre, la vita fa paura al punto da tale da scegliere di rinchiudersi nell’angusta cucina del carcere, con un marito così diverso dall’uomo che aveva sognato, legata quasi visceralmente alla donna che l’ha accudita in convento come una madre ma le ha forse nascosto la verità, Suor Vittoria, Angela pagherà proprio per la sua incapacità di aspettare, per l’inquietudine che la tormenta e la divora, fino a farle desiderare di aggredire a morsi la vita, di farsi giustizia da sola. Per quell’incapacità di tenere a freno le emozioni sarà punita duramente, fino al punto di uccidere per l’uomo che è convinta di amare, anche lei mai cresciuta, incapace di accettare la realtà, di superare il trauma legato all’abbandono, di amare la nuova famiglia che l’ha adottata, troppo borghese, incapace persino di adeguarsi alle regole della vita in convento, la quotidianità di un lavoro, la normalità a cui ci condanna l’esistenza. E tuttavia, in quel luogo è ancora possibile per un istante fingere di avere dieci anni giocare ad essere grandi “Io farei la scuola d’arte e metterei su un laboratorio di gioielli: collane, bracciali, oro, perle, brillanti, lusso, frivolezza, soldi. A che serve l’arte se non a convertire il nostro dolore? Io qua dentro soffro il freddo, soffro la noia e la mancanza di luce, soffro perché a poco a poco tutto si va spegnendo”. Angela non ha paura di chiamare le cose con il proprio nome, anche a costo di essere sgradevole e cinica, pronta a rinfacciare all’amica il tradimento di quando erano bimbe e la sua mancanza di coraggio. Mentre Dorina non può perdonarle la sua incapacità di amare. Entrambe sembrano condannarsi da sole all’infelicità, rinunciando a ciò che amano, ai propri sogni, incapaci di fare i conti con i propri spettri come Dorina con quello della madre, che continua a inseguire, senza trovare pace “Sapere com’era, chi l’ha messa al mondo la ossessiona, adesso più che mai, come un’ombra annidata dentro di lei a covare un uovo nero che cattura le energie. Ha provato a seppellirle tra le azioni quotidiane ma l’uovo nero le spunta come un bitorzolo dagli occhi”. Ma la vita è troppo bella per non essere vissuta, Dorina capirà, a poco a poco, che non si può avere paura della libertà, che i rimpianti come quelli di Antonia, che ha rinunciato per sempre all’uomo che amava per essere madre fanno male, che si può ancora lottare contro il freddo dell’anima e quello che incombe sull’ Irpinia, sui lavoratori dell’Irisbus, sulle operatrici del carcere, che il destino non è già scritto, che il coraggio bisogna tirarlo fuori e forse c’è ancora possibilità di ritornare a vivere, di riassaporare quel calore che va cercando senza tregua, che può ancora sentirsi amata.