«Ora il paese riparta dal Sud», l’appello del Presidente Svimez

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Il Sud come opportunità su cui puntare per rimettere in corsa il paese nel mercato globale. Lo sottolinea più volte Adriano Giannola, presidente della Svimez, nel corso del confronto all’Oratorio della SS. Annunziata, incontro conclusivo del ciclo di conferenze “I protagonisti della politica meridionalistica” organizzato dal Centro “Guido Dorso”. «Il Sud è oggi il problema italiano, capace di condizionare il destino di tutto il paese. Se non si rilancia il ruolo del Mezzogiorno non ci sarà futuro per l’Italia. C’è bisogno di una politica per il Sud che oggi manca. Il Masterplan altro non è che un processo di accelerazione di progetti non completati ma non esiste una vera strategia». Quindi pone l’accento sull’importanza di conoscere il ruolo giocato dal Sud nella storia del paese a partire dal miracolo economico degli anni ’50-‘60. Un miracolo reso possibile dall’emigrazione di 6 milioni di meridionali al Nord, dall’industria di Stato sostenuta al Sud dal denaro pubblico, con la nascita delle cattedrali nel deserto, dalle acciaierie all’industria chimica, fondamentali per il successo dei colossi del Nord, dalla nascita di un’agenzia sorta sul modello americano come la Cassa sul Mezzogiorno che scelse di puntare innanzitutto sulla realizzazione delle infrastrutture, sulla riforma agraria e sull’industrializzazione.«Altra tappa fondamentale – spiega Giannola, introdotto dal direttore della Canera di Commercio Luca Pirozzi – è quella del 1957 con la firma del trattato di Roma, la nascita del mercato comune europeo e la sfida di abbattere le barriere doganali nel giro di dieci anni. La scommessa era quella di portare l’Italia in Europa con una forte competitività, un mercato dal quale rischiamo di essere cacciati, come testimoniano i dati allarmanti relativi all’emigrazione, alla povertà e alla crisi demografica con 744.000 persone che hanno lasciato il Sud dal 2001 al 2014, il crollo delle iscrizioni alle Università del Mezzogiorno e un netto calo del Pil del 9,4%. Un’emigrazione oggi profondamente diversa da quella successiva alla guerra quando gli emigranti garantivano le rimesse alle loro famiglie mentre oggi devono essere sostenuti dai propri parenti anche nella nuova città in cui si stabiliscono. Si tratta, dunque, di puntare su una nuova politica come quella che ha reso possibile riammagliare il paese all’indomani della guerra. Non ci troviamo di fronte a un conflitto tra Nord e Sud, il Sud non fa altro che indicarci la strada a cui condurrà il processo che oggi coinvolge l’intero paese, con un forte arretramento anche del Nord. Non basta riprendere il ritmo della crescita precedente, la priorità è rilanciare lo sviluppo, uno sviluppo che deve partire dal Sud perché il Sud ha energie produttive, demografiche e sociali ed è il Sud ad offrire le opportunità per sfruttare al meglio la centralità che riveste oggi il Mediterraneo. I punti di forza possono essere rappresentati dai porti e retroporti del Mezzogiorno, quei porti che oggi non sono adeguatamente valorizzati, da Gioia Tauro a Taranto e Napoli. Si tratta di puntare sulla logistica e sulle rinnovabili poiché è chiaro che si dovrà imparare a fare a meno del petrolio ed è al Sud che si possono sfruttare al meglio energia eolica e geotermica». Altra questione che solleva Giannola è quella legata al rapporto tra Regioni e grandi aree metropolitane e all’agenzia per la coesione territoriale: «Penso ancora oggi che i fondi europei siano una iattura, poiché è mancata e manca ancora una qualsiasi programmazione e vigilanza sul loro utilizzo, ecco perché potrebbe essere utile ancora oggi uno strumento come è stato la Cassa del Mezzogiorno che progetta e realizza. Non è solo un problema di classe dirigente, manca ancora oggi la consapevolezza di quello che deve essere il ruolo del Sud. Si tratta, dunque, di fare chiarezza sul passato per indicare nuove strategie possibili, diverse da quelle utilizzate negli ultimi venti anni nei quali ci si è limitati, secondo la politica di coesione dell’Unione Europea, ad insegnare ai meridionali ad imitare il processo di sviluppo del Nord senza sortire alcun risultato. Una politica, quella legata al Sud, fermatasi al 2001 con la riforma costituzionale del titolo quinto che introduceva il federalismo fiscale, mai applicata». A chi gli chiede dell’Irpinia, sottolinea come «abbia bisogno di una cura ricostituente. Si tratta, innanzitutto, di connettere l’Irpinia al resto del territorio, potenziando i collegamenti, di fare del territorio un luogo di transito e insieme di insistere sulle vocazioni locali, a partire dall’agro-alimentare. Altra risorsa può essere rappresentata dall’ex Irisbus che va certamente rilanciata». Frapius.P