Papa Bergoglio e le migrazioni

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Papa Bergoglio sarà oggi a Napoli. Ma il suo viaggio, come sempre accade a un Papa, stavolta non sarà dedicato all’abbraccio di un popolo.
Ma il suo viaggio, come sempre accade a un Papa, stavolta non sarà dedicato all’abbraccio di un popolo, a quel tributo estemporaneo di saluti e di suppliche da bagno di folla, qui, per calore e trasporto, come quello argentino. La sua visita, a lungo meditata e preparata, è esclusivamente per rivolgere un discorso al mondo- “Una Lectio Magistralis” che il mondo si attende- da una ribalta particolare, la Università Meridionale di Teologia, nell’ex Capitale del Sud, avamposto del Mediterraneo sulle sfide globali, cruciali e laceranti del nostro tempo: immigrazione, accoglienza, inclusione, condivisione. Crocevia di antiche civiltà e ora ponte di un nuovo dialogo. Tutto parte dal lontano Concilio Vaticano II dell’ottobre 1962, quando con vigore e spirito di profezia venne promosso il rinnovamento della vita della Chiesa, per una più incisiva missione in una nuova epoca della storia, che già si annunciava frenetica, e quindi bisognosa di una revisione degli studi ecclesiastici. C’era da cercare di superare soprattutto “il divorzio tra teologia e pastorale”, tra fede e vita, che ha rivoluzionato, in una certa misura, lo statuto della teologia, il modo di fare e di pensare il credente. Dopo oltre un decennio dal Concilio, nell’aprile del 1979, il primo tratto post conciliare trovò una concreta sintesi di riferimento nel varo della Costituzione Apostolica “Sapientia Christiana”, promulgata da Giovanni Paolo II, furono raccolte le direttrici di molteplici ispirazioni. Ora a tanti anni di distanza, la “gioia della verità”, la “Veritatis Gaudium” della Chiesa di Papa Francesco elimina ogni indugio e abbraccia “quel desiderio struggente, (la gioia) che rende inquieto il cuore di ogni uomo fin quando non incontra, non abita e non condivide con tutti la luce di Dio”. Un proposito che significa seraficamente “porte, porti e cuori aperti”, senza alcun confine. “Il popolo di Dio- ricorda Papa Francesco- è pellegrino lungo i sentieri della storia in sincera e solidale compagnia con gli uomini e le donne di tutti i popoli e di tutte le culture, per illuminare con la voce del Vangelo il cammino dell’uma – nità verso la “civiltà dell’amore”. Amore, oggi di segno profetico e sorprendente per due circostanze: a luglio si compiranno ottocento anni da quando S. Francesco approdò con una nave di crociati in Galilea, a San Giovanni D’Acri, dove osò presentarsi al sultano Al- Malik- Kail nipote del feroce Saladino per parlargli di pace; mentre il 4 febbraio scorso, Papa Francesco ha firmato ad Abu Dhabi un “Documento sulla fratellanza umana” con l’Imam Al Azhar Ahmed, unico del genere tra Cattolici e Musulmani d’Occidente e d’Oriente. Ne riportiamo solo un passo del preludio, che dà la misura di una “preghiera” di snodo epocale tra un prima e un dopo: “In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro , per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace”. La Chiesa con i suoi principi non si pone mai in contrasto con le società coeve, cioè del suo tempo. Invece è il suo tempo, sono le società coeve, che si pongono spesso in contrasto con la Chiesa e i suoi principi. Lo enunciò il cardinale Martini ma fu padre Davide Turaldo a spiegarne le ragioni: “Noi non dobbiamo inseguire il consenso, né il dissenso fine se stesso, ma dobbiamo inseguire il senso”. Quel senso invece calpestato da talune odierne aberrazioni da ingordigia del consenso, camuffato da alibi miserevoli, cui il cardinale Gianfranco Ravasi in queste ore ha rivolto un pacato monito: “La fede è una esperienza esistenziale, una scelta radicale. La religione una manifestazione esteriore . Agitare il rosario, baciare il Crocefisso non fa di te necessariamente un credente. Cristo perdona tutte le colpe, tranne le ipocrisie. I cattolici sono una minoranza ma diventino una spina nel fianco”. Chi vuol intendere, intenda. Niente più alibi per tutti.

di Aldo De Francesco