Quel vissuto che non passa

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Ci sono persone che non sanno discernere il bene dal male. Che si muovono solo se spinte da interessi. Che infangano le loro stesse storie. Da costoro è bene star lontano. Anche se, della loro negatività, spesso ci si accorge solo quando può esser troppo tardi. Per fortuna la contaminazione ha breve durata. Mi è capitato, ed entro così nel merito, di chiedere a dei miei giovani cronisti di approfondire, seguendo il metodo dell’inchiesta, lo stato dei cantieri nella città capoluogo. Non a caso si abusa di termini come legalità, trasparenza, casa di vetro e immagini di questo tipo. In particolare l’inchiesta era finalizzata a conoscere i motivi dei ritardi nel completamento delle opere pubbliche; il numero degli addetti nei vari cantieri, chi sono le aziende fornitrici dei materiali utilizzati. Informazioni se si vuole anche ordinarie e soprattutto miranti a dare risposte alle domande che si pongono i cittadini che non riescono a capire il perché dei clamorosi ritardi nella consegna dei cantieri. E qui le difficoltà riscontrate non sono poche: per il clima omertoso che ha corso legale nel nostro balcanizzato capoluogo. Chiedere notizie sui cantieri è come incontrare il circolo dei senza voce. Risultati ancora peggiori dà il rivolgersi agli uffici comunali. Qui la categoria degli “irresponsabili” è infinita. Perché nessuno sa ciò che dovrebbe sapere, ma rimanda a un altro, e per caso lo sapesse, si guarda bene dal dare informazioni. La risposta, quasi slogan, che si riceve è: non è di mia competenza. Il che può essere anche vero, ma è impossibile che sia diventata una risposta fissa. Non solo. Il clima che si respira negli uffici comunali è surreale. Dirigenti in dissidio con se stessi, in lotta continua con i loro colleghi, con battute che hanno poco a che fare con il ruolo istituzionale dell’ente di cui sono espressione. E gli stessi amministratori a volte sono prigionieri della volontà dei funzionari. Loro, i burocrati, agiscono secondo l’antico cinico detto: “Gli amministratori passano, noi restiamo”. Questo porta a percepirsi in una posizione di quasi impunità che, purtroppo, blocca ogni esigenza di reale trasparenza. A meno che chi ha il potere di farlo non rimescoli le carte, senza cedere alle raccomandazioni di turno o al volere dei padrini che mai mancano. Di qui i silenzi, l’atmosfera omertosa e il ripetersi dei blitz delle forze dell’ordine, delegate dalla Procure a requisire documenti. E quasi sempre si scopre, purtroppo, che ciò che è stato fatto non sempre è avvenuto all’insegna della legalità. Il pericolo è quello di cedere all’abitudine. Di ritenere che senza oleare i meccanismi il diritto non viene rispettato. Le decine di processi aperti anche nella nostra città (nella quale lo scandalo urbanistico -politico non ha confini) offrono questa chiave di lettura. Stante così la situazione (qualcuno ci smentisca) la macchina comunale, quella burocratica e quella politica, si presenta come un ferro vecchio con ruggine incancrenita, incapace di rispondere alle reali esigenze della città e avvolta nel mistero dei lavori interminabili. In realtà, il sistema è ormai strutturalmente compromesso ed è necessario affrontare, con decisione e fermezza, una grande questione morale, senza più soffermarsi sul passato, chiedendosi, ad esempio, con quali criteri di merito e di competenza siano stati infoltite le schiere dei dipendenti comunali: la parola d’ordine è rifondare le strutture burocratiche dell’ente. Aristotele indicava un tempo determinato in cui svolgere lo stesso incarico dopo di che bisognava destinare le persone ad altri compiti. Oggi, senza voler scomodare gli antichi, si dovrebbe parlare di rotazione nelle pubbliche funzioni, operazione che bloccherebbe la degenerazione verso la corruzione. A mia memoria, nella storia della città di Avellino, la rotazione, sebbene promessa da ogni sindaco all’atto del proprio insediamento, è avvenuta in modo schizofrenico. Dirigenti rimossi sono stati poi reinsediati nello stesso precedente incarico. Ed allora ciò che sembrava aprirsi al nuovo, si è dimostrato, nel tempo, vecchio quanto e più di prima. L’argomento della piaga della burocrazia fu uno dei temi su cui si misurò anche l’ex presidente della Provincia, Luigi Anzalone, protagonista di una significativa battaglia che non vinse per la mediocrità della politica clientelare. E Paolo Foti, sindaco di Avellino ? E gli assessori comunali? Sono solo apparentemente i custodi della cosa pubblica. Chi realmente gestisce è la burocrazia comunale. Con un vantaggio che è questo: ogni volta che il primo cittadino cambia la propria squadra il nuovo che avanza deve misurarsi con il vecchio che resiste. In questo circolo vizioso s’infrangono i sogni dell’ efficienza, del traguardo del bene comune, del reale cambiamento di una società che vuole crescere. La questione morale nella gestione degli enti dovrebbe essere, a mio avviso, il primo impegno che la politica si dovrebbe dare. Non avvitandosi sulla preoccupazione di ritagliarsi piccoli spazi di potere nel segno dell’occupazione delle clientele, ma ponendosi il problema reale di come rigenerare corpi ormai infetti. La politica dovrebbe proporre merito e competenza, inserimento di energie e competenze soprattutto laddove si è chiamati a dare garanzia di legalità e di trasparenza. Non si può, e non si deve, continuare con l’antico metodo degli amici degli amici come fine per catturare il consenso. E’ anzitutto la politica che si deve innovare, deve saper guardare oltre, deve diventare riferimento di certezze e non di comparaggio. Questi principi inderogabili hanno acquisito per me nuova urgenza dopo che ho toccato con mano la difficoltà di informare i cittadini sul misterioso percorso dei cantieri interminabili. E mi sono detto: quanta poca dignità nel vivere e lavorare contro gli altri invece che con gli altri, ovvero per la comunità. Per questo non mi arrendo.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa