Referendum cannabis, Civati: “Questo è il momento di legalizzare”

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Di Matteo Galasso

La legalizzazione della cannabis è da ormai trent’anni al centro del dibattito pubblico. Chi si oppone a rendere legale questo stupefacente dimentica spesso che –al di là della propria posizione –la cannabis sia consumata da circa 6 milioni di persone in Italia in modo più o meno abituale. Finalmente, negli ultimi mesi, dopo il successo sperimentato con la raccolta firme sul referendum per rendere l’eutanasia legale, visto l’immobilismo sul tema da parte della classe dirigente, si è ridiscussa la possibilità di dare l’ultima parola al popolo.

Dopo il lancio di una raccolta firme online per indire una consultazione popolare abrogativa per depenalizzare il consumo della cannabis, lanciata dall’associazione Luca Coscioni, che ha raccolto già 500.000 firme in pochi giorni, sentiamo Giuseppe Civati, leader di “Possibile”, autore del libro Legalizzila e tra i promotori dell’iniziativa.

Civati, quali – secondo Lei – i vantaggi di legalizzare la cannabis?

I vantaggi sono moltissimi. Il primo che mi viene in mente riguarda una questione di carattere culturale: ci sono tantissime sostanze che, nonostante creino più danni all’organismo umano rispetto alla cannabis, sono legali. La verità è che il proibizionismo che non funziona con alcool e tabacco, non frena neanche la cannabis, consumata – secondo le stime –più o meno abitualmente da circa 6 milioni di italiani. Un secondo vantaggio è rappresentato dalla quantità di denaro di cui si priverebbe la criminalità organizzata, essendo la cannabis così diffusa, consente di associare all’attività, fino ad ora criminale, della sua distribuzione, quella anche di altre sostanze, presentandosi come un vero e proprio vettore economico. Il terzo vantaggio è sanitario: al momento non si sa cosa si “fumi” quando si consuma cannabis, perché non si ha alcuna indicazione sulle sostanze contenute nel prodotto, al contrario di quelli legali. Un altro aspetto riguarda l’emersione di una forte economia dal mercato nero, che servirebbe a finanziare una campagna di informazione sulle sostanze nocive legali e i loro effetti e anche delle spese sanitarie, che non sono mai abbastanza e sono sempre meglio del mercato nero. Non abbiamo alcuna prova rispetto ai Paesi in cui la cannabis è legale, che il consumo sia in aumento, anche perché la legalizzazione –come per tutte le altre sostanze – sarebbe solo per i maggiorenni. Vedo, inoltre, molta soddisfazione nei Paesi in cui questo passo di civiltà è stato già compiuto.

Ci spieghi, nei dettagli, le modifiche che vuole proporre alle regolamentazioni attualmente in vigore.

La materia è molto complessa e delicata anche per il suo vincolo ai trattati internazionali: per questo stiamo studiando su cosa intervenire e quale sia la formula migliore. Si deve enucleare il punto in modo che la Corte Costituzionale non bocci la proposta. Quello a cui si mira è la depenalizzazione del consumo e della sua produzione e distribuzione entro determinati limiti. La proposta di legge che abbiamo fatto nella scorsa legislatura stabiliva una quantità che non fosse considerata illegale ed è su questo che vogliamo basarci. Se troviamo la formula più efficace dal punto di vista politico e legislativo questo referendum può diventare realtà anche grazie al contributo dei più giovani.

 

Dopo tanti anni si riuscirebbe finalmente a realizzare un referendum che si aspetta da tempo. Nonostante questa battaglia sia al centro del dibattito politico da decenni, come si spiega il fatto che mai nessuno è riuscito a concretizzarla come proposta di legge?

Sono state fatte, in questi anni, diverse proposte, soprattutto nella scorsa legislatura, quando c’era un clima più favorevole. Non dimentichiamo, però, che in tutto il mondo occidentale il proibizionismo ha avuto grande fortuna e che solo da poco quest’ondata sembra essersi attenuata, anche grazie al contributo degli Usa, le cui decisioni influiscono molto anche sugli altri Paesi: proprio la possibilità che in America si proceda con una legalizzazione a livello federale, potrebbe fare da esempio anche nel Vecchio Continente. Lo stesso segretario dell’Onu, Guterres, da Presidente del Consiglio del Portogallo ha depenalizzato tutte le droghe con un’operazione ambiziosa e a lungo termine. Deve cambiare l’organizzazione della società e anche il modo di pensare della classe dirigente perché alla legalizzazione segua un consumo responsabile. La popolazione italiana sarebbe favorevole a prescindere dall’assunzione, in quanto è giusto depenalizzare una sostanza che ha coinvolto centinaia di persone in lunghi ed estenuanti processi, nonostante sia decisamente meno pericolosa di altre sostanze.

Perché, secondo alcuni, “Legalizzare la Cannabis ne ridurrebbe, di conseguenza, il consumo”?

Perché verrebbe meno, soprattutto per i più giovani, quel senso di proibito. Secondo me non diminuirebbe ma si stabilizzerebbe, senza aumentare. Farebbe meno male da un punto di vista dell’abuso, che diverrebbe consapevole e di un prodotto controllato e certificato.

Quali sono le stime, in termini di assunzioni, in caso che questa proposta divenisse realtà?

È difficile dare dei numeri, perché dipende dal tipo di modello che si sceglie di legalizzare. Se parliamo di un modello industriale e monopolizzato dallo Stato, si assumerebbero decine di migliaia di persone. Qualcuno ha anche calcolato una riduzione degli “impiegati” nel mercato illegale.

Al momento – stando alle stime Istat – circa 6 milioni di italiani consumano, chi in modo costante, chi solo occasionalmente, la cannabis: questo dato dimostra come il tanto scetticismo dei proibizionisti sia inutile e vada a solo svantaggio dello Stato e dei consumatori. Quanto si incasserebbe se lo Stato la legalizzasse?

Ci sono stime diverse: dai 3 agli 8 miliardi di euro, senza considerare quanto si risparmierebbe tra inchieste, perquisizioni, mobilitazioni delle forze dell’ordine e procedure processuali.

In che modo diminuirebbero i rischi per i consumatori se la cannabis venisse prodotta e distribuita direttamente dallo Stato?

I consumatori sarebbero, al contrario di quanto avviene oggi, a conoscenza di quello che consumano e delle quantità di THC presenti nel prodotto. Non dimentichiamo poi che la produzione sarebbe sostenibile e sicura.