Se l’Irpinia cambia pelle

0
1481

 

C ‘era una volta la provincia addormentata. La verde Irpinia gelosa del suo panorama, orgogliosa della sua storia, rispettosa della sua classe dirigente. Sì, c’era una volta. Perché oggi non è più così. Anche qui qualcosa di nuovo e di diverso sta accadendo. L’inquietudine sta soppiantando la serenità. Montoro, Monteforte, Andretta, Lacedonia quattro comuni di confine, distanti tra loro, ma uniti dalla stessa emergenza: l’infiltrazione dei poteri malavitosi. L’Irpinia sta cambiando pelle. Montoro, nella valle dell’Irno, uno tra i più competenti sindaci d’Italia. Mario Bianchino, subisce brutali intimidazioni e la nuova violenza in quella comunità genera sgomento e paura. Da poco più di un anno la realtà montorese, dopo l’unificazione, ha fatto registrare una crescita interessante, diventando, per numero di abitanti, il terzo comune della provincia. Una crescita che ha determinato, probabilmente, l’appetito di soggetti criminali che già avevano infettato i comuni dell’agro nocerino-sarnese. A Monteforte irpino il paesaggio in questi ultimi anni si è molto modificato: al posto del verde della pianura della zona bassa sono sorte aziende e capannoni che oggi danno vita ad una vera e propria area industriale, senza regole e con speculazione dei suoli. Alcune attività provengono dalla realtà napoletana. Al primo cittadino Giordano, che ha ereditato la gestione degli ex sindaci Nappi e De Stefano, sono giunte minacce di morte. Un consigliere comunale è stato fatto segno di intimidazioni. Come pure il presidente del Consiglio comunale al quale è stata recapitata una missiva minacciosa. In Alta Irpinia segnali di forte inquietitudine vengono da Andretta e Lacedonia. Il loro panorama è stato sconvolto dalle pale eoliche il cui insediamento aveva creato una forte conflittualità con le comunità locali. Non è un caso che ai confini dell’Alta Irpinia, nel Foggiano, insiste un potere criminale che ha fatto registrare una terribile escalation negli ultimi anni. Se così è, e i fatti accaduti non lasciano dubbi, immaginare che è in corso un’aggressione territoriale da parte dei poteri dell’antistato non può essere un parto fantasioso.In realtà sino ad ieri erano il Vallo di Lauro, con i clan Cava e Graziano, e la Valle Caudina, con i Pagnozzi, le zone più esposte alla violenza criminale. Quei confini oggi sono, purtroppo, superati. Vero è che in seguito a questi ultimi eventi, la solidarietà è scattata convinta, senza se e senza ma. A Monteforte, come a Montoro, le istituzioni democratiche hanno fatto sentire il loro sdegno. Ma è sufficiente? Certamente utile, ma non basta. I partiti politici, per primo il Pd, si avvitano nelle loro laceranti polemiche, piene di vuoto, inconcludenti e a volte irrispettose dei bisogni della comunità. Occorre riflettere per agire di conseguenza. Un dato significativo è l’isolamento politico che è andato man mano crescendo. Le zone interne della regione, rispetto agli interventi programmati per la fascia costiera, hanno risentito di un abbandono preoccupante. Sono diventate una specie di terre di nessuno. La qualità delle amministrazioni comunali non è sempre stata delle migliori, con episodi di corruzione e di clientelismo che hanno stravolto il significato di bene comune. La stessa rappresentanza parlamentare e regionale, mediocre rispetto a quella passata, sia pure con qualche eccezione, si è limitata ad osservare i fenomeni senza fare uso di quel potere di intervento che diventava sempre più urgente.I settori trainanti dell’occupazione, quali l’edilizia e il commercio, sono andati in crisi anche per la gestione di molti cantieri gestiti dai clan con il metodo delle scatole cinesi. Una radiografia dei lavori appaltati in città e delle aziende chiamate ad eseguirli darebbe conto di una situazione a dir poco anomala. A ciò si deve aggiungere l’uso distorto dei fondi europei che in molti casi hanno prodotto clientela spicciola senza nessuna costruzione o fine sociale. Si aggiunge a questa crisi di identità politica anche la sottovalutazione del fenomeno da parte di chi è chiamato a contribuire perché il problema della sicurezza offra maggiori garanzie. Nobile e prezioso è, da questo punto di vista, l’impegno delle forze dell’ordine e della magistratura, ma va detto che occorre un loro adeguamento per far fronte alle mutate esigenze che il territorio pone. L’impegno maggiore deve essere svolto dalla comunità. Dal suo tessuto civile. Dalla sua indignazione. Dal coraggio della denuncia. Proprio perché la situazione è difficile è necessario non abbassare la guardia. Fingere di non sapere o di non vedere è come costruire un’autostrada che la criminalità può percorrere. La criminalità organizzata si avvale della delinquenza comune. E questa è figlia di quella mini corruzione che alimenta il circuito della malapolitica. Il richiamo alla responsabilità dei comportamenti è sempre più necessario. Come lo è l’impegno individuale che ciascuno è chiamato a testimoniare. Chi sa parli, chi paga denunci, chi si affida al silenzio diventa complice del malaffare. Una politica clientelare che premia gli immeritevoli e mortifica i migliori è il veicolo di quell’illegalità che genera malessere sociale. Difendere la nostra realtà prima che sia troppo tardi diventa oggi un obbligo morale.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa