Una settimana da rischiatutto per Di Maio e Salvini 

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“Madre Santissima, tempra dei baldi giovani il confidente ingegno”, così nella “Pentecoste”, celebre inno sacro del 1822, il Manzoni supplica la Madonna ad ammansire l’ardire dei giovani. A ben riflettere, prudenza e cautela, è proprio quanto occorre ai due “leader” Luigi Di Maio e Matteo Salvini, uno giovane, l’altro meno giovane, in questa settimana cruciale e decisiva, da “rischiatutto”, per la definizione dei vertici e della nuova geografia istituzionale parlamentare . Nessuno vuole togliere loro ciò che gli è dovuto, d’ essere usciti vincitori da questa tornata elettorale. Ma è tempo anche che comincino a rendersi conto che la loro vittoria ha le “ali mozzate”, come la famosa statua di Samotracia, oggettivamente monca, per puntare i piedi, dare le carte e pretendere ad ogni costo di dirigere i giochi. Di Maio, da una parte pare d’esserne consapevole , assicurando di voler parlare con tutti, ma poi, dall’altra, fa riemergere nelle sue richieste lo “spirito” antico e intransigente penta stellato. Garanzia di qualche ulteriore apprezzamento ma non per poter raggiungere la meta. Le democrazie parlamentari si reggono sul confronto dialettico, sul principio hegeliano delle contrapposizione delle idee e dell’auspicabile sintesi, ancora di più alimentato in un sistema proporzionale. “C’è un tempo per ogni cosa e per ogni azione”, dice l’Ecclesiaste. Di Maio non può più pensare di essere in una permanente campagna elettorale con licenza di censura, di veto o di critica su qualsiasi cosa: chiedendo a ogni interlocutore- e possibile alleato tessera di identità, passaporto, analisi del sangue e delle urine…. Ci sono organismi di garanzia e di controllo delegati a farlo. Cosi non si governa, si fa “biologia” o inquisizione politica. Un discorso a parte merita, invece, Salvini, al quale va ricordato che la “leaderschip” riconosciutagli dal centrodestra a trattare con le altre forze e formazioni non significa carta bianca a poterle tentare tutte ma a muoversi lungo direttrici sostenibili da tutte le componenti la coalizione. Insomma: talune convergenze valgono solo e limitatamente ad adempienti istituzionali, non possono estendersi a ventilati scenari di un bicolore Grillo- Salvini. Già incompatibile tra M5S e Lega, lo verifichiamo anche in queste ore da numerosi distinguo. Figuriamoci poi con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Anche se oggi pare definita un’intesa sui vertici di Camera e Senato, considerando che il Parlamento, già esposto a rischio agguati, è in larga parte formato di novizi, fossimo Di Maio e Salvini non dormiremmo certo sugli allori. Se le scelte si dovessero incagliare, per loro significherebbe una battuta d’arresto delegittimante, da pivelli, che ne comprometterebbe il seguito. Anche nell’avere una credibile voce in capitolo sul varo del nuovo governo, che sarà tutt’altro discorso. Quando il Capo dello Stato farà ufficialmente presente nelle consultazioni che i numeri di ciascuna, delle forze vincitrici, separatamente , non bastano da soli a fare una maggioranza autosufficiente ma che occorrono intese solide per varare un governo. Allora i due leader si accorgeranno che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Tempestoso, da guerriglia negli abissi, tra pesci piccoli e grandi come nella famosa canzone de ‘’O Guarracino”. Si sappia: il capo dello Stato non farà la conta dei desideri ma delle urgenze, a fronte le preoccupazioni europee che già premono.

di Aldo De Francesco edito dal Quotidiano del Sud