Vi racconto mio nonno, storia di un partigiano

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“La memoria rende liberi. Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”. Queste sono le parole di Liliana Segre, superstite dell’olocausto e senatrice a vita, in occasione della Giornata della memoria. La senatrice, in tutti gli incontri a cui ha partecipato, ha sottolineato l’importanza di dover ricordare gli efferati delitti che sono stati commessi durante il secondo conflitto mondiale. La memoria del conflitto mondiale impone alla collettività civile una presa di coscienza di tutto quello che è successo dal 1939 al 1945.
Il 25 aprile è il giorno in cui ogni anno in Italia si celebra la festa della Liberazione dal nazisti e dai fascisti, avvenuta nell’arco del 1945. Effettivamente la guerra non si concluse proprio il 25 Aprile. Erano, però iniziate una serie di azioni da parte della resistenza, rappresentata dai partigiani, per cacciare i nazifascisti dal Bel Paese. Pertanto, nel corso del tempo il 25 aprile è diventato data simbolo della resistenza per la libertà. Quest’ultima intesa come libertà politica, civile, sociale e culturale. In quegli anni si viveva sotto una durissima dittatura che imponeva restrizioni in ogni campo dell’arte e della vita.
Il 25 Apile 1945 coincise con l’inizio della ritirata da parte dei soldati della Germania nazista e con la presa di coscienza della popolazione si era ribellata. I partigiani, organizzati in squadre, avevano organizzato un piano per riprendere le città del Nord, invase dai nazifascisti.
La sera del 25 aprile Benito Mussolini abbandonò la città di Milano per fuggire verso Como. I partigiani continuarono ad arrivare a Milano nei giorni tra il 25 e il 28 Aprile. Gli americani, che avevano già liberato molte terre del Sud Italia, arrivarono nella città di Milano il 1 maggio.
Nella mia famiglia tutti i nipoti hanno imparato sin da subito a canticchiare “Bella Ciao”, che viene considerata la canzone dei partigiani ed il simbolo della resistenza. Mio nonno, Mario Fiore, nato ad Avellino il 21 Ottobre 1921, è stato un partigiano ai piedi dei Monte Bianco, negli anni più difficili di guerra. Nessuno dei cinque nipoti ha potuto conoscere nonno, morto il 23 Luglio 1985, ma i racconti delle sue vicende da partigiano hanno sempre accompagnato il nostro vissuto e tutti i momenti di raccoglimento della mia famiglia.
Era caposquadra di circa dieci ragazzi in Piemonte. Aveva deciso di partecipare alla resistenza perché ribellarsi alle imposizioni del regime fascista. Per tanti anni non ne abbiamo parlato, considerando questo vissuto nostro, individuale, troppo personale per essere condiviso con altri. Questa situazione di lockdown generale ha fatto rivivere in ognuno di noi, moglie, figlie e nipoti, l’esigenza di raccontare cosa è stata la resistenza. Sui balconi degli italiani in queste giornate più volte più volte vengono proposte canzoni che fanno parte della cultura di massa, il 25 Aprile l’inno Mameli e Bella Ciao sono state le prime musiche ad attraversare il paese.
Ogni singola parola del testo “Bella Ciao” è un simbolo di una lotta, che ha attraversato tutto lo stivale ed è stata rappresentata da giovani ragazzi che hanno combattuto per un ideale con i pochi mezzi che avevano. In ogni strofa cantata da “Bella Ciao” noi nipoti, Dora, Stella, Giampio, Sofia e Chiara, rivediamo tutti i racconti di nonno: le azioni di Mario Fiore insieme al suo fidatissimo amico Valentino di Torino nella campagne piemontesi, gli amici contadini che condividevano quel poco che avevano, il prezioso aiuto delle staffette, le nottate a fare da guardia, il nascondiglio nel cimitero per sfuggire ai fascisti, l’amore per la famiglia lontana.
Essere un partigiano oggi è un’esperienza troppo forte per essere dimenticata e non raccontata. Il 15 gennaio del 1963 nonno ha ricevuto la Croce al Merito di Guerra in seguito all’attività partigiana.

Dora Spiniello