Il valore politico nell’impegno

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“Nell’atrio della facoltà di Scienze politiche, in quell’angolo, accanto alla grande porta vetrata, c’è un lenzuolo di tela grossa, e sotto il lenzuolo qualcosa che da lontano sembra un fagotto o un animale abbattuto. Poi ti avvicini e vedi che il lenzuolo ha lasciato scoperta la fronte di un uomo, e con la fronte un ciuffo di capelli grigi e un paio di occhiali dalle lenti spezzate. Da sotto il telo esce un rivolo di sangue, un rivolo brillante nel sole, mentre la vetrata chiusa rimbomba per il tam-tam dei fotografi che gridano furiosi: "Fatece entrà!". Questo l’inizio dell’articolo scritto da Giampaolo Pansa per Repubblica il giorno dopo la tragica mattina del 12 febbraio del 1980. Il professor Vittorio Bachelet è sulle scale e conversa con la sua assistente, Rosy Bindi. All’improvviso esplodono 7 proiettili che colpiscono e uccidono Bachelet. Sono passati 36 anni ed oggi si sa che a sparare sono stati i brigatisti rossi Annalaura Braghetti e Bruno Seghetti. Bachelet è un docente universitario di diritto alla Sapienza di Roma. Nel 1980 ha 54 anni. E’ stato Presidente dell’Azione Cattolica, ha fatto politica come consigliere comunale a Roma eletto nella Democrazia Cristiana ed è stato Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Amico di Aldo Moro viene ucciso come lo statista democristiano dalle BR. L’assassinio rientra in quella lunga scia di sangue che vede coinvolti i brigatisti rossi. Bachelet viene colpito proprio per il suo ruolo all’interno del CSM.Aguidare i terroristi è lo slogan: "la rivoluzione non si processa". Uno dei due attentatori, Laura Braghetti, scrive nel 2003 un libro ("Il Prigioniero") in cui rivela come si sia scelto di uccidere Bachelet perché non avendo la scorta era un bersaglio più semplice. Ai funerali il figlio di Bachelet, Giovanni allora venticinquenne, perdona gli esecutori materiali dell’assassinio e dice: “vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri “ . Vittorio Bachelet è stato un uomo che si è battuto per migliorare l’Italia. Le sue riflessioni non erano mai banali. Un intellettuale cattolico impegnato nell’educazione delle nuove generazioni. Una personalità che intendeva costruire dei percorsi diversi per i giovani che invita però ad usare “la prudenza che aiuta ad evitare di confondere l’essenziale e il rinunciabile, il desiderabile e il possibile, che aiuta a valutare i dati di fatto in cui l’azione deve svolgersi, e consente il realismo più efficace nella coerenza dei valori ideali. La fortezza, contro le tentazioni, tipiche della vita e della comunità politica in connessione con la responsabilità delle scelte, della costanza e della pazienza che sono richieste a chi in tale comunità voglia vivere non da turista ma da costruttore”. Insomma una lezione per l’oggi, perché la politica sia costruzione e non distruzione dell’altro. Il suo stile, la sua tragica morte e le parole del figlio Giovanni potevano aprire uno squarcio diverso nell’azione politica degli anni successivi. Ed invece quella stagione drammatica del terrorismo si è per fortuna chiusa definitivamente ma non si è aperta una stagione di dialogo e di confronto costruttivo tra le forze politiche che via via hanno occupato lo spazio del governo e del Parlamento. Bachelet concepiva la politica come costruzione del bene comune che non deve limitarsi alla partecipazione nei partiti e nelle istituzioni ma che riguarda tutti coloro che si impegnano nell’esercizio di un mestiere o di una professione che rappresenta già in sé un alto valore politico.
edito dal Quotidiano del Sud