La politica tra forma e sostanza

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Un delle cause della disaffezione dei cittadini verso la politica è data dalla perdita dei partiti politici della “sostanza” che si è, via via, immedesimata nella “forma”. Cos’è, in politica, la forma e cos’è la sostanza. Il significato dei due termini ha interessato i filosofi di tutti i tempi, a cominciare da Aristotele. In poesia Dante l’ha risolta da par suo parlando del suo “dolce stil novo”: “I’ mi son un che, quando/ amor mi ispira, noto, e a quel modo/ ch’ei ditta dentro vo significando” (24° canto del Purgatorio). La forma deve corrispondere e rappresentare fedelmente il sentimento. In politica, per farla breve, per i partiti politici la sostanza è data dal “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art.49 Costit.). La forma è costituita dalla comunicazione politica che dovrebbe consistere nella capacità di indicare valori, costruire speranze, indicare obbiettivi, prefigurare modelli, creare progettualità. Invece ha finito per diventare sostanza essa stessa trasformandosi nella promessa di soddisfare, indistintamente ogni desiderio della gente attraverso l’uso costante dei sondaggi e ad accarezzare anche le loro meno nobili pulsioni. E questo è sicuramente una delle cause che generano nell’elettore disamoramento e disinteresse che si manifesta con l’astensione e, per i più deboli, con la rincorsa verso l’Uomo forte.

Gli esempi si sprecano. Il più clamoroso di queste settimane è la campagna elettorale che Salvini sta facendo in Emilia Romagna dove l’obbiettivo non è dare un nuovo governo alla Regione indicando, a suo modo di vedere, i punti deboli e prospettandone i rimedi e le proposte politiche, ma quello di perseguire –vincendo- la caduta del Governo centrale. L’Emilia Romagna non gli interessa e la Bergonzoni è solo un pretesto, un reggi candela. E’ evidente come la “forma” è una falsa rappresentazione della “sostanza” che dovrebbe essere altra. Ma la deformazione non si ferma qui: va oltre e coglie un altro aspetto della degenerazione alla quale ci sta portando il populismo. Salvini è un grande comunicatore che sa parlare con i selfie, le magliette ed i colpi sulle spalle, all’elettorato più indifeso e, quindi, più conquistabile. Vale, secondo la felice teoria dello scrittore Stefano Massini sui numeri, appena uno che è poco più di zero e la metà di due, il terzo di tre: cioè molto poco. Ma ha un grande merito: corteggia gli zeri e se li mette dietro. Così diventa 10, 100.000. 1.000.000 e oltre perché di zeri, purtroppo, ce ne sono molti anche tra gli intellettuali e i torna contisti. E con questo popolo raffazzonato, emarginato e astioso, Salvini si accinge a governare, nel suo nome- eleggendolo a popolo –  tra la rassegnazione di una sinistra disunita che non sa più parlare alla “sua” gente e ridarle speranza L’autonoma autoconvocazione di Piazza Maggiore a Bologna, piena come un uovo, di cittadini che gli si oppongono, sta a dimostrare che la stragrande parte dell’elettorato è molto più matura dei politici che la rappresentano.

Occorre fare presto, avere coraggio, parlare il linguaggio della verità sul Mose, l’Ilva di Taranto, la finanziaria e le riforme indispensabili e realistiche che questo governo, indeciso e insicuro, deve fare, e sulle possibilità concrete per uscire fuori dal pantano nel quale ci hanno cacciato un po’ tutti quelli che ci hanno governato in questi ultimi trent’anni, ma in maniera particolare, l’Unto del Signore Berlusconi, il pataccaro Renzi, il vago ed incompetente Di Maio e domani il “cazzaro” Salvini. Servirsi meno dei sondaggi e più degli ammaestramenti e degli esempi, non accettare l’andazzo comunicativo che trova, anche nella televisione di Stato, un avallo colpevole, è la strada maestra che il PD, il partito meno personalistico , deve seguire per ritrovare il bandolo della matassa.

di Nino Lanzetta