Ripartire da valori condivisi

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Si può essere di parte, rappresentare un partito politico eppure essere rispettata anche dagli avversari. Il 20 giugno di quarant’anni Nilde Iotti  viene nominata presidente della Camera dei Deputati. Una carica che le verrà rinnovata per tre volte consecutive, tanto da permetterle di dirigere l’aula di Montecitorio per 13 anni fino al 1992. Nessuno nella storia d’Italia ha ancora raggiunto il suo primato. Nilde Iotti è certamente una donna di parte, iscritta al partito comunista dal 1943, ha partecipato attivamente alla Resistenza e ha una relazione con Palmiro Togliatti il grande “capo” dei comunisti italiani. A colpire è il suo volto da sfinge e un’acconciatura classica, la stessa sempre: capelli a chignon.  Incontra Togliatti alla Camera e il leader comunista si innamora di quella giovane deputata di ventisette anni più giovane. Inizia uno scandalo. Siamo alla fine degli anni quaranta e la morale dell’epoca è molto diversa rispetto a quella attuale. Togliatti è sposato con una compagna, Rita Montagnana, con cui ha condiviso persecuzioni, anni di esilio e battaglie internazionaliste, con cui aveva fatto un figlio. Si narra che il partito decide di mandare in missione il segretario della Federazione di Reggio, Otello Montanari a Botteghe Oscure dove la coppia più notoriamente clandestina d’Italia abitava in un sottotetto di tre stanze per dirglielo, e il Capo neppure alzò lo sguardo dalle carte che stava firmando con la stilografica a inchiostro verde: “Hai finito compagno Montanari? Grazie, puoi andare”, e quello se ne andò interdetto e mortificato. Come unica conseguenza, Iotti fu spostata di collegio elettorale, da Reggio a Bologna. Altri tempi. Nilde Iotti non è però solo la compagna di Togliatti è una parlamentare capace e preparata. Quindici anni dopo la morte del” Migliore” è Presidente della Camera. Il compromesso storico si è appena concluso. La morte di Moro ha chiuso il dialogo tra DC e PCI ma resta la regola di concedere all’opposizione la Presidenza di un ramo del Parlamento. Tocca a lei dirigere l’assemblea di Montecitorio.  Un giornalista di razza come Giorgio Battistini scomparso l’anno scorso e firma storica di Repubblica l’aveva descritta in modo perfetto scrivendo che “se mai è esistita un’interpretazione marxista della regalità, Nilde Iotti l’ha interpretata tutta, fino in fondo. Nel corso dei suoi 53 anni di presenza parlamentare. E in modo ancora più speciale durante tutto quel lungo, difficile periodo in cui resse la bandiera del Pci al vertice dello Stato. La seconda volta, dopo Ingrao. Impersonando la massima visibilità possibile per un’opposizione tacitamente condannata dalla guerra fredda alla sovranità limitata. Un lungo regno femminile sull’assemblea più influente e turbolenta.  E’ rimasta alla testa della Camera negli anni in cui finiva il Pci e nasceva il Pds di Occhetto. Si può ben dire che l’uscita di Nilde Iotti da Montecitorio, dov’era entrata, eletta alla Costituente, il 20 giugno del ’46: proprio l’anno del voto alle donne con le dimissioni per ragioni di salute, ha segnato davvero la fine simbolica della prima Repubblica”.  Da quando personalità come la Iotti ci hanno lasciato ci sembra che il sipario su un certo modo di fare politica sia calato definitivamente. Le parole hanno preso il posto dei fatti e i principali leader di oggi continuano ad illudere più che a costruire. Certo il mondo è cambiato. Le differenze ideologiche e la guerra fredda dividevano molto più di adesso ma alla base c’erano dei valori condivisi a partire da quelli ispirati dalla Costituzione. Oggi la crisi di credibilità e di fiducia che ha travolto tutta la politica nasce anche dall’assenza di un patto comune che non vuol dire consociativismo ma sapere che da una difficoltà il Paese può uscirne solo se è unito.

di Andrea Covotta