Mentre il governo nazionale e le forze politiche polarizzano la loro attenzione alla elaborazione definitiva del Recovery Plan , nel centro cittadino di Avellino è avvenuta una tragedia sconcertante i cui contorni tutti conosciamo, sui quali non è il caso di soffermarci ulteriormente . Ritengo, invece, necessario qualche approfondimento non occasionale sulle genesi più ampia e profonda del rapporto genitori-figli all’interno della tormentata famiglia italiana. Più volte ho avuto modo di tentare qualche sommessa considerazione sul delicato rapporto scuola-famiglia, famiglia-parrocchia, famiglia tessuto sociale di appartenenza . I tentativi di analisi partono da lontan , dal 1968 , quando nelle nostre piazze veniva gridato, dalle forze della contestazione giovanile, lo slogan “ non vogliamo esser figlie, aboliamo le famiglie”. Le più accese contestatrici erano proprio le “figlie”, le giovanissime donne di quel periodo, che esercitavano , quindi, un effetto trascinante verso i giovanissimi maschi. A fronte di quella allarmante contestazione si mossero responsabilmente le famiglie e le forze sociali più attente , promuovendo la nascita dell’Age (Associazione Italiana Genitori) che , tra le finalità associative di fondo, individuava l’urgenza di un nuovo rapporto tra scuola e famiglia per meglio intercettare le istanze giovanili emergenti. Negli anni successivi furono anche promosse liste di genitori – di tutte le estrazioni sociali , compresi sindaci e prefetti (ricordo lo stimato prefetto di Avellino Raffaele Sbrescia)- alle elezioni degli Organi Collegiali della Scuola. Furono anni fecondi con processi di impegno socioculturale e di responsabilità condivise dalla scuola e dalle famiglie più attente alla crescita umana, sociale e spirituale dei figli. I decenni successivi hanno progressivamente svilito le tensioni ideali di quell’impegno socio pedagogico, parallelamente alla scomparsa della famiglia tradizionale che , certamente con dei limiti , aveva comunque dei punti di riferimento forti e chiari. La maledetta politica familiare italiana, impasto deleterio di demagogia e indifferenza, ha fatto il resto. Venendo al momento attuale e al Recovery Plan ,oltre la digitalizzazione e innovazione, la rivoluzione verde, l’istruzione e ricerca, l’inclusione e coesione, la salute –tutte piste progettuali rispettabili- non viene delineato , come impegno specifico ed organico, un progetto di rivitalizzazione delle famiglie nell’alveo della complessità socioeconomica del momento attuale. Quello che è deludente che ci sono solo dei barlumi di sostegno di natura fiscale e finanziaria , come se le famiglie fossero solo un oggetto oneroso da sopportare e non il fondamentale soggetto sociale per la urgente ricostruzione del tessuto sociale il cui ordito è ormai sfilacciato .Ordito di valori umani e spirituali da coltivare continuamente ,reti umane e culturali da promuovere, percorsi condivisi di impegni solidali. Al centro di di questo auspicato spazio da promuovere dovrebbero esserci giovani, i figli, con le loro istanze , le loro esigenze di dialogo, la loro fantasia che dev’essere canalizzata e non compressa, le loro speranze ed , infine, la loro costante ricerca di punti di riferimento credibili che non possono venire dagli strumenti di tecnologia avanzata . Allora di che parliamo , oggi, quando all’interno delle nostre famiglie avvengono fatti sconcertanti. Perché ci dobbiamo meravigliare si abbiamo veramente coscienza del vuoto in cui navigano i nostri giovani e le nostre famiglie. Dovremmo, invece, tutti – nonni, genitori, insegnanti , laici e presbiteri, giovani che temono il matrimonio per ragioni di carenza economica- impegnarci per combattere il virus della irresponsabilità , del disimpegno e dell’indifferenza, virus più contagioso e mortale de Covid 19.
di Gerardo Salvatore